di Daniel Pennac
Feltrinelli, 2012
Traduzione di Yasimina Melaouah
pp. 341
€ 18 (cartaceo)
Parlando - abbastanza spesso - dell'ansia in questo diario, non parlo dell'anima, né tantomeno faccio psicologia, resto più che mai nel registro del corpo, questo stramaledetto groviglio di nervi! (p. 229)
Il narratore è un mentitore, potremmo affermare con una certa piacevole certezza, leggendo Storia di un corpo di Daniel Pennac. Se la traduzione italiana del titolo non rivela direttamente il genere dell'opera che andremo a leggere, l'originale Journal d'un corps rimanda direttamente alla vastissima tradizione del journal intime. Ma con tutto l'affronto al genere, la revisione che ne può fare Pennac negli anni del Duemila. E allora lo scrittore finge di essere venuto in possesso del diario del padre defunto di Lison, di aver iniziato a leggere il testo e di averlo proposto al suo editore. Un escamotage per niente nuovo, se vogliamo, ma che propone poi un libro decisamente inusuale: non si tratta di un diario emotivo, intimo, appunto, come vorrebbe la tradizione francese; al contrario, di un "diario del corpo", votato ad annotare solo mutamenti, reazioni, scoperte, malanni, sensazioni del nostro corpo. Una visione materialistica, se vogliamo; a tratti ipocondriaca, egocentrata all'ennesima potenza su ogni minima variazione della routine fisica. Quasi un volo di rondine sulle scoperte e sulle frustrazioni che vive un corpo maschile, dall'infanzia alla vecchiaia, cercando continuamente di "metteresi a fuoco" («In fondo, questo diario è stato un perenne esercizio di messa a fuoco», p. 258).
Conoscersi meglio non vuol dire solo arrovellarsi attorno alla propria spiritualità, in esercizi di egocentrismo che spesso possono risultare sterili (soprattutto agli occhi di lettori contemporanei). Al contrario, parte e torna al corpo la riflessione, ma non è detto che dalla sintomatologia non ci si sposti al resto, alla vita. Ma, certamente, è proprio il corpo che aiuta a sentire e non è possibile disgiungersi da questo secondo quanto invece teorizzavano i primi diaristi. Anzi, provocatoriamente l'anonimo diarista, padre dell'imprecisata Lison, critica metaletterariamente il genere del giornale intimo, inadatto per soffermarsi sulla vita reale; così, in seguito a una illuminante scoperta sui propri escrementi, l'uomo commenta:
Una lacuna del genere conferma i miei pregiudizi nei confronti dei diari intimi: non registrano mai niente di significativo (p. 144).
Non c'è vergogna nel diario, né pudore: d'altra parte, come potrebbe esserci, se l'unico destinatario previsto è proprio la figlia, Lison? Va comunque specificato che il diarista ipotizza un'eterodestinazione e non pare, in ogni caso, porsi problemi di sorta:
Se dovessi rendere pubblico questo diario, lo riserverei in primo luogo alle donne. In cambio mi piacerebbe leggere il diario tenuto da una donna sul proprio corpo. Per sollevare un angolo di mistero (p. 199).
Ammettere la scoperta della propria sessualità, raccontare tutto, persino momenti privatissimi come la prima masturbazione o la frustrazione per le pratiche invasive dell'operazione di prostata, non sono altro che modi per liberarsi da qualsiasi pregiudizio. E raccontare il corpo, partendo dalla considerazione che
l'uomo teme davvero solo per il proprio corpo. Appena un offensore capisce che potrebbero fare a lui quello che dice, il suo terrore è senza nome. (pp. 218-219)
Passando attraverso le principali fasi della vita, ma mai appiattendo l'analisi alla mera registrazione di dati, Storia di un corpo è un diario a tutti gli effetti: pur aprendo le registrazioni (non sempre giornaliere, ma spesso intervallate da spiegazioni a posteriori, per colmare le lunghe interruzioni) con note sul corpo, poi spazia e si apre alla narrazione di episodi della propria vita, riflessioni aforistiche e lapidarie, ricadute emotive (ridotte all'osso, alla loro manifestazione fisiologica),... Insomma, pare davvero di leggere una vita, e ci si affeziona a questo bambino che poi diventa ragazzo, uomo, padre, nonno e addirittura bisnonno.
Toccante e divertente, Storia di un corpo si muove continuamente tra gli estremi, come Pennac ha sempre insegnato: senza riserve né schermi, è un libro splendido che fa sentire tutti un po' più umani, imperfetti, terreni, caduchi e, forse proprio per questo, unici.
GMGhioni
Signore e signori, moriamo perché abbiamo un corpo, ed è ogni volta l'estinzione di una cultura. (p. 257)
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