di John Osborne
in Teatro, Einaudi, 1964
Traduzione di Amleto Micozzi
Il
10 e 11 gennaio la Nexo Digital proporrà al cinema la registrazione
dello spettacolo The Entertainer di John Osborne messo in scena dalla Kenneth
Branagh Theatre Company per
la regia di Rob Ashford. Si tratta dell'ultimo di una serie di eventi
speciali che hanno portato nelle sale in versione originale
sottotitolata alcuni dei lavori presentati al Garrick Theatre di
Londra dalla compagnia del celebre attore shakespeariano.
Un'iniziativa meritoria di questa società di produzione e
distribuzione che, dopo il bellissimo Amleto
con
Benedict Cumberbatch, nel corso del 2016 ha permesso alle platee
internazionali di assistere al Racconto d'inverno e a Romeo e Giulietta.
L'istrione (questo il titolo italiano dell'opera, scritta
nel 1957) racconta le vicende dei Rice, una famiglia che vive di
spettacolo. Il nonno, Billy, è un reduce del teatro di varietà,
ovvero del passato. Come tutti gli anziani, rimpiange quella che
considera l'epoca d'oro, quando il music-hall era fatto da "gente
vera", senza bisogno di donne nude. Suo figlio Archie prosegue
con la tradizione calcando il palcoscenico, ma secondo Billy non ha
la sua stessa scorza, come d'altronde quel genere di spettacolo si è
deteriorato irreversibilmente. La situazione non è delle più rosee:
Archie fatica sempre di più a tirare avanti, il pubblico diminuisce
e sembra che la sua carriera sia destinata ad un rapido declino.
Siamo i personaggi di uno spettacolo che non frega a nessuno.
Più
d'ogni altra cosa, l'anziano attore rimpiange un mondo fatto di
regole, buona educazione e sentimenti che ora sembrano spariti: di
fronte alla contemporaneità (la promiscuità sessuale e "razziale",
i gusti mutati, i rapporti con gli altri che rispondono a nuovi
codici di comportamento) l'unica arma di difesa è un continuo
rancore. Contro tutto e tutti, Billy si barrica nelle sue convinzioni
rifiutando compromessi. Ai suoi antipodi c'è Jean, la nipote,
frutto di tutto ciò che il nonno disprezza: una donna che non
soltanto (inaudito!) può votare e si interessa di politica, ma che
sente addirittura il desiderio di essere indipendente, di non
sottomettersi ad un padre o a un marito. Loquacissimo e antipatico,
Billy esprime i suoi giudizi fuori dai denti, un moralista che del
suo antico mestiere ha conservato la capacità affabulatoria, anche
se ormai un po' ammaccata. E' palesemente uno sconfitto, che va venire in mente
il Colonnello Redfern di Ricorda
con rabbia.
Entrambi i personaggi, che per le loro idee reazionarie non possono
certo ricevere il favore del pubblico di oggi, acquistano la loro
dignità nel persistere ostinato nelle proprie posizioni. E' proprio
questo tipo di resistenza che interessa a Osborne: a prescindere da
cosa si difende, l'autore inglese si sente vicino ai soldati che han
perso la guerra ma continuano a combattere.
Mostrandoci la parte meno patinata dell'Inghilterra, il drammaturgo inglese trova bellezza nella miseria, non perché "povero è bello" ma perché è proprio in mezzo a situazioni disperate che si cela un'umanità che riempie il cuore. La voce che dà a questi sconfitti, a questi emarginati, è la stessa della cantante che Archie, in un momento malinconico, racconta di aver incontrato quando era soldato in Canada:
Mostrandoci la parte meno patinata dell'Inghilterra, il drammaturgo inglese trova bellezza nella miseria, non perché "povero è bello" ma perché è proprio in mezzo a situazioni disperate che si cela un'umanità che riempie il cuore. La voce che dà a questi sconfitti, a questi emarginati, è la stessa della cantante che Archie, in un momento malinconico, racconta di aver incontrato quando era soldato in Canada:
Ma a vedere quel barile di negra che cantava con tutta l'anima per il mondo intero, ti sentivi dentro che per quante batoste puoi appioppare alla gente, alla gente vera, per quanto la puoi disprezzare, non ci dev'essere niente di storto in loro, visto che riescono ad armare una così bella cagnara, una cagnara così naturale, così schietta! Se mai, lo storto è in tutti gli altri.
Andando avanti col copione si viene pervasi da un senso di
desolazione: la litigiosa famiglia Rice è formata da un gruppo di
persone povere, scollegate dal mondo che leggono sui giornali. Le
generazioni più vecchie (Billy, ma anche Archie e sue moglie Phoebe)
rinfacciano in continuazione ai più giovani le difficoltà che hanno
dovuto patire e la “mollezza” dei caratteri dei figli, che dal
canto loro non riconoscono più nei genitori un'autorità o un
esempio, proiettati come sono in una società che dei precetti e
delle fisime di un'altra epoca non sa che farsene. E' come se il
cuore dell'Inghilterra stia lentamente perdendo importanza e viva
questa dissolvenza cercando con la dignità (ma più sovente con
l'alcol) di arginare le crepe che però sono evidenti. Il music-hall,
allora, diventa l'emblema di questa decadenza: negli intermezzi in
cui vediamo Archie imbonire il pubblico assistiamo ad uno spettacolo
datato, incapace di far ridere, che poggia ancora su stilemi e
tecniche retrò sull'immaginario di una Old England ormai
completamente avulsa dal contesto contemporaneo col quale non riesce
a stabilire un dialogo. In effetti Osborne
mette subito le cose in chiaro: quello evocato in The
Entertainer
è un mondo quasi scomparso. All’inizio del testo possiamo infatti
leggere:
Il music-hall sta morendo, e con esso muore una parte significativa dell’Inghilterra. Un poco del cuore dell’Inghilterra s’è spento, qualcosa che un tempo apparteneva a ciascuno, poiché il music-hall era davvero arte popolare. Se in questa commedia mi sono servito di taluni procedimenti scenici del music-hall, non l’ho fatto per considerazioni esteriormente spettacolari, bensì perché ho la convinzione che possano risolvere alcuni di quegli eterni problemi di tempo e di spazio che il commediografo è chiamato ad affrontare e, inoltre, perché questi procedimenti sono importanti per l’argomento e l’ambiente di questa commedia. La tecnica scenica del music-hall non soltanto possiede tradizioni, convenzioni e simboli particolari, per non dire una vera e propria mistica, ma è in grado di ovviare a tutte le limitazioni imposte dal teatro cosiddetto verista. Il suo contatto è immediato, vivo e diretto.
Questa
è solo la prima di tante estese didascalie, la cui lunghezza non è
dettata solo dalla moda di un certo tipo di teatro nel quale si
inserisce l’autore di
Ricorda
con rabbia,
ma anche dallo sforzo evidente di far comprendere al lettore (e
all’eventuale regista) l’atmosfera che egli vuole si percepisca,
spendendo ad esempio diverse righe per inquadrare la località dove
si svolge l’azione (una zona rivierasca, ma in un quartiere niente
affatto turistico) nonostante in effetti poi di essa in scena vedremo
solo alcuni interni come l'appartamento dei Rice ed il palcoscenico
dove si esibisce Archie. E' interessante analizzare le didascalie di
Osborne, che oggi probabilmente nessun drammaturgo ripeterebbe: da una parte
testimoniano il tentativo dell'autore di avere il controllo sulla
messinscena insistendo con precisione sulle caratteristiche e sulle
intenzioni dei protagonisti (arrivando a spiegarne la psicologia, i
tic, gli atteggiamenti anche quando non strettamente necessari
all'interpretazione delle battute), dall'altra esse allargano il
copione trasformandolo in qualcosa di più di una mera successione di
dialoghi; un testo che si avvale di questi inserti autoriali nei
quali valenza pratica (indicazioni registiche) ed intento narrativo
(racconto dei personaggi) si sovrappongono.
Lo
scrittore dichiara essenziale che i meccanismi scenici che sorreggono
la pièce
siano gli stessi del music-hall, non solo perchè li ritiene validi
per superare alcuni ostacoli posti dal teatro di prosa classicamente
inteso, ma anche perché mai come in questo caso mezzo e messaggio
coincidono: per testimoniare la vitalità di una forma spettacolare
per la quale si denuncia il pericolo di scomparsa, quale strumento
migliore che i “trucchi” di quel tipo di drammaturgia? A dire il
vero, però, questi intenti sono almeno in parte traditi dalla
pratica: non sembra infatti che il grosso dell'opera passi dagli
intermezzi ambientati sul palcoscenico dove si esibisce Archie, dalle
canzoni del varietà o dall'allestimento affettato descritto
dallo scrittore. E' nelle scene canoniche che Osborne, autore di prosa, dà il meglio di
sé; il music-hall
viene rievocato con sapidità a livello contenutistico senza contaminare in maniera profonda la struttura drammaturgica.
A parte qualche stacco che rende i passaggi poco chiari, i
dialoghi, che alternano battute significative a momenti intermedi,
sono scritti assecondando in maniera mirabile i ritmi del parlato
naturale. L'impostazione un po' rigida dovuta agli anni
passati dalla sua stesura non tolgono a questo copione la capacità di far vivere ancora con estrema concretezza i suoi
protagonisti.
Nonostante la vicinanza ai suoi personaggi, Osborne è lucido nel mostrare come siano almeno in parte responsabili della
loro condanna e lo fa per mezzo di Jean: se sin dall'inizio la nipote
di Billy si caratterizza per contrasto con la sua famiglia (non vive
con loro, cerca la sua strada, vede il mondo in maniera differente),
è in seguito alla morte in guerra del fratello Mick che la ragazza
entra apertamente in conflitto coi genitori (ma anche coi fratelli
che ne accettano il conformismo). C'è oggettivamente una categoria
sociale cui le cose vanno sempre male, ed in parte è quindi giustificato
l'astio di questa porzione di popolazione nei confronti delle
istituzioni, del Welfare State, delle promesse dei politici. Ma la voglia di
cambiamento di Jean, la sua lotta per non arrendersi a partire dalle scelte per la propria vita, evidenzia che il
cinismo indifferente del padre, disinteressato totalmente al mondo
esterno che reputa corrotto, è diventato accettazione e complicità
dell'egoismo imperante, tanto che non esita più ad agire secondo il
suo tornaconto (non paga le tasse, vantandosene) senza badare agli
altri, nemmeno a sua moglie. Col passare delle scene Archie perde
l'aura di eroe positivo ed acquista più di un'ombra. E' nerissima la
visione che esce da quest'opera: se la vecchia Inghilterra muore, con
il suo bigottismo, il futuro non appartiene all'idealista
Jean, ma al suo ex fidanzato Graham, che è solo una nuova razza del
solito perbenismo. Dopo averlo suggerito in Ricorda con rabbia,
in The Entertainer Osborne
conferma di essere un conservatore: di fronte al crollo del vecchio
mondo preferisce il moralismo di Billy all'amoralità di Archie,
perché almeno il primo aveva dei valori. E' sicuramente una
posizione ambigua, ma la forza espressiva con cui Osborne la enuncia
fa de L'istrione un'opera
importante che può interrogarci ancora oggi.
Nicola Campostori
Nicola Campostori