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Che cosa rappresentano le
narrazioni fiabesche? Quale ne è l’origine e a che cosa servono? Una rilettura
attenta del celebre saggio di Tolkien ci consente di immergerci nell’incantato
reame della narrazione fiabesca. Entrare nel regno di Feeria per l’autore significa partire proprio da questi
interrogativi. Le fiabe hanno da sempre un sapore suggestivo, idealizzante e
danno la percezione di uno sgancio completo con la realtà. Tolkien ne propone
un’analisi che diviene quasi uno smantellamento dei luoghi comuni da sempre
considerati capisaldi della fiaba. Viene, ad esempio demolito il concetto di soprannaturale
e valorizzata invece la caratterizzazione della figura degli elfi; l’autore si
interroga se agli stessi si possano addurre elementi reali, o se la storia
degli elfi possa esistere indipendentemente dai racconti su di loro. Anche se
si tratta di creazioni della mente dell’uomo, in questo fantastico mondo di Feeria “capita spesso di incrociarli”. Feeria è un luogo immaginario “che non
può essere intrappolato solo in una rete di parole”, si caratterizza per lo
straordinario mondo indefinibile. Se per Calvino i tempi e i luoghi della sua
narrazione appartengono ad una geografia mentale, qui all’indeterminatezza del
tempo si aggiungono elementi reali e irreali che appartengono alla Natura delle
cose.
Tra gli aspetti che
Tolkien coglie maggiormente sono da sottolineare gli scopi e l’ambientazione
dei racconti. Tutto ruota attorno alla satira, all’avventura e al gioco
fantastico che allargano lo spettro degli insegnamenti morali. L’autore amplia
il significato della fiaba valorizzando il concetto di magia. “Si tratta di una
magia di un genere e di un potere particolari, al polo opposto dei volgari
stratagemmi del mago, laborioso e scientifico”, in cui entrano una varietà di
racconti che vanno da quelli più antichi medievali dai “limiti vaghi e mal definiti”,
a quelli più avventorosi, da Sir Gawain
al Cavaliere Verde ai racconti di Gulliver, alla rivisitazione delle fiabe
di Perrault, ai racconti di Carroll, Tolkien proietta il lettore in un viaggio affascinante
sempre nuovo.
Anche le favole,
narrazioni in genere piuttosto brevi con protagonisti animali, sembrano per
Tolkien altri pezzi ai confini della letterarietà che rivelano nessi con la
fiaba. La vita e la forza di un essere umano possono risiedere altrove. Come
nasce la fiaba? Nelle fiabe traspaiono numerosi elementi fantastici
riconducibili a credenze, modalità e stili di vita antichi: il cuore separato dal corpo, sembianze
animalesche dei personaggi chiave delle vicende, anelli magici, interdizioni
assurde, cattive matrigne, vengono analizzati anche da un punto di vista
scientifico quando divengono oggetto di esame degli studiosi di storia della
letteratura popolare, di folklore o di antropologia. La proposta di Tolkien è quella di superare
le vecchie congetture della filologia comparata perchè le fiabe hanno un
carattere universale e possono interessare sia lo studioso di filologia comparata
che l’archeologo. Le narrazioni fiabesche derivano da un ceppo comune, ma
seguono poi dei percorsi ed un’ evoluzione indipendente. Le invenzioni
ancestrali fanno emergere idee, tematiche che si ricollegano alla mitologia
fiabesca.
Tolkien fa una netta
distinzione tra alta e bassa mitologia, tra racconto popolare e mito, tra il
mito naturale connesso alle varie personificazioni della natura nei suoi
aspetti rivelatori, sole, alba, notte, cielo e così via e l’epos, la leggenda
eroica e la saga.
Quali sono in sintesi le funzioni della fiaba? Appartiene alla comprensione solo infantile? Il legame che si è stabilito tra bambini e fiaba “non è che un accidente della nostra storia. Le fiabe, nel mondo moderno, sono state relegate nella stanza dei bambini come mobili sciupati e fuori moda". Invece il gusto e la passione per questo mondo fiabesco appartiene anche ad un’età adulta. Infatti se verso l’infanzia c’è stata un’attenzione particolare connotata da una grande produzione di libri molto accattivanti, è pur vero, afferma Tolkien, che il genere fiabesco ha prodotto una serie “spaventosa di sottobosco di racconti scritti o adattati a quello che è o è ritenuto essere il livello della mente e dei bisogni infantili”.
Stranezza e meraviglia si accompagnano quando l’incantesimo genera un mondo secondario in cui possono rientrare anche gli adulti, nella purezza di ciò che è artistico la Magia produce una voluta alterazione di ciò che Tolkien definisce Mondo Primario. La fantasia aspira a tutte le forme di arte umana. “Aspira al potere in questo mondo, al dominio di cose e volontà”, aspetti che coinvolgono in pieno anche il mondo adulto.
La fiaba ha un’importante funzione catartica. Tolkien si sofferma sul concetto di Evasione e di Consolazione come forme letterarie di trattazione, nelle principali funzioni della fiaba. La modernità rappresentata dal vivere odierno in città, (dai lampioni stradali, alle insegne pubblicitarie ai supermarket delle narrazioni di Calvino) si intersecano su modelli fiabeschi rappresentativi della modernità. E molto interessante è la Grande Evasione legata all’Evasione della Morte che ci propone Tolkien. Le fiabe forniscono esempi di ciò che Tolkien chiama vero spirito escapistico e fuggiasco. Una fuga che diviene un itinerario verso l’Immortalità. Interessante è la Consolazione rassicurante che porta il Lieto fine, anche se eliminare il tragico dalle fiabe rappresenta per Tolkien la vera forma di teatro. Nonostante la cattiva azione, il malvagio apparentemente potente su tutto, le fasi cruenti della lotta contro il male, il Lieto fine fa sobbalzare il cuore, gioire la mente, provocare degli immensi sorrisi di gratitudine.
Da Albero e Foglia, ovvero la storia del pittore Niggle dal cuore tenero e dell’amore per i due elementi cardini della Natura umana, una grande foglia e il suo albero straordinariamente dipinti e difesi, all’inserto poetico intitolato Mitopoeia, alla fiaba del Fabbro di Wotton Major, fino ai suggestivi versi medievali della battaglia di Maldon combattuta tra anglosassoni e vichinghi in cui si narra la morte toccante di Beorhtnoth, la parte finale diviene l’epiteto più bello e consolante per il genere umano.
Mariangela Lando