di Quinto Orazio Flacco
Fazi Editore, 2016
A cura di Giovanni Ricciardi
pp. 110
€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
I liceali lo stanno per scoprire e gli ex liceali lo ricorderanno certamente, che nell'ora di latino tra un'asciutta versione di Tacito ed un'altra dell'ampolloso Cicerone si cela la bellissima sorpresa della poesia di Orazio, uno dei massimi lirici della letteratura latina. Su Orazio, figlio di un liberto che dalla natìa Venosa arriverà alla corte dell'imperatore Augusto, è stato scritto tantissimo e piuttosto che azzardarmi in spiegazioni potenzialmente scolastiche e ridondanti, preferisco consigliare, a chi volesse approfondire, di consultare un buon manuale di letteratura latina (in primis quelli di Gian Biagio Conte e Paolo Fedeli). Molto più coraggioso del sottoscritto è stato Giovanni Ricciardi, insegnante di latino e greco in un liceo classico di Roma, che ha selezionato e tradotto trenta dei più celebri e significativi componimenti oraziani.
Questa piccola antologia, dal titolo Carpe diem (come il più famoso motto oraziano), si rivela per due motivi particolarmente audace: innanzitutto per la scelta in sé di confrontarsi con una divinità del pantheon della letteratura classica, quale Orazio, studiata e tradotta a tal punto che risulta difficile poter dire qualcosa di veramente nuovo; poi per l'originalissimo approccio alla traduzione. Ricciardi, infatti, si muove al di fuori della traduzione letterale e scolastica, con un'attenzione inconsueta al suono piuttosto che al contenuto, senza apparentemente preoccuparsi di dare una sistematicità al suo modus operandi. Quest'ultimo è caratterizzato dal tentativo di restituire in metrica barbara - alla stregua di Carducci - la metrica classica oraziana ed alla costruzione di endecasillabi, settenari e quinari perfetti vengono di conseguenza sacrificate tutte quelle parole ed espressioni che in italiano potrebbero appesantire il verso, ma tradotte altre che - seppure non di uso corrente - gli donano un sapore antico ed evocativo. Tra le soluzioni migliori scelte dal traduttore segnalo l'ottimo "sia tuo il frutto del giorno" per carpe diem, che rispetta l'assonanza tra la parola greca Καρπός, "frutto", ed il verbo latino carpo, "cogliere"; di simili rese riuscitissime è piena l'antologia, quando la struttura metrica non lo impedisce. Solo sotto le costrizioni di quest'ultima, infatti, si possono comprendere a pieno alcune incongruenze, come la scelta di tradurre i nomi di Glycera e Leuconoe (rispettivamente in "Dolce" e "Candida Mente"), ma non quelli di Polimnia ed Euterpe o ancora di rendere giustamente il vento Favonio con "primavera", sub Iove frigido con "alle intemperie", Hadria con "mare", mentre né il Falerno né l'Orco mutano nella propria lectio facilior, rispettivamente vino ed oltretomba.
Tutto ciò, con le omissioni, le frequenti parafrasi libere e qualche rara scelta infelice (come ad esempio il grottesco "cade una furtiva lacrima" per umor [...] furtim labitur, sintagma cristallizzato ed abusato nella lingua italiana a partire dalla quasi omonima aria dell'Elisir d'amore di Donizetti) potrebbe far storcere il naso ai classicisti: questa bella antologia, però, non si rivolge a chi già conosce e frequenta la poesia oraziana, ma piuttosto - come le traduzioni poetiche di Quasimodo da Saffo - a chi, fuori dalla pedanteria degli studi specialistici, si voglia avvicinare alla lirica latina, lasciandosi affascinare da una traduzione fedele non alla parola, ma allo spirito.
Adriano Morea