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"Il nido" di Tim Winton: l'involuzione della torre d'avorio

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Il nido
di Tim Winton

Fazi Editore, 2017

Traduzione di Stefano Tumolini

Pp. 442
Cartaceo 19.50 €
E-Book     9.99 €



Dopo circa una cinquantina di pagine de Il nido di Tim Winton, uscito per Fazi Editore nella traduzione di Stefano Tumolini, il lettore medio potrebbe anche chiedersi se lo scrittore nato a Perth nel 1960 non abbia sbagliato il titolo. Già perché, e lo è ancora di più se il lettore è italiano (per i motivi che tra poco illustreremo), "Il nido" dà l'idea di un luogo magari un po' nascosto ed oscuro, ma in un certo qual modo caldo, accogliente e molto famigliare. Sicuramente, in merito alla parola "nido", per chi lo legge dall'Italia rilevante è il ricordo/rimando alla poetica di Giovanni Pascoli, forse il massimo cantore di tale specifica figura letteraria. Già perché il nido descritto da Tim Winton più che ad un qualcosa di accogliente e riparato ha le connotazioni di un tana di qualche sordida bestia: infatti il protagonista, Tom Keely, ex politico ed attivista ambientalista, si è, giustappunto, rintanato in un piccolo e squallido appartamento in cima al grattacielo Mirador di Fremantle, vivendo da solo, ormai al verde, con la reputazione distrutta ed isolato dal mondo. Già proprio alla stregua di una bestia feroce e magari pure ferita che si nasconde nella sua tana.
Tuttavia superando le cinquanta pagine (che già rivelano molto dello stile narrativo di Winton, sostanzialmente 50% allucinatorio 50% descrittivo, una miscela che ha il suo fascino) questo isolazionismo volontario viene via via scalfito da una serie di piccoli/grandi episodi. Già perché se Tom dopo aver visto cadere, praticamente in contemporanea, e il proprio matrimonio e la propria carriera politica, vive alla giornata consumando cibo spazzatura e ingollando, per stordirsi, interi flaconi di pillole e sedativi, il mondo, letteralmente, bussa alla sua porta. Abbiamo detto come egli viva in un grande palazzo, un po' fatiscente, simbolo stesso della, ormai passata, arditezza e scaltrezza dei palazzinari australiani nel costruire i grattacieli. Beh, proprio in quella colossale spada di cemento armato che si erge sul profilo della città, proprio di fianco al suo appartamento, vive una donna, Gemma, che è come se uscisse direttamente dal passato dello stesso Tom: infatti era la sua vicina di casa da ragazzo, di cui egli era perdutamente (anche se a livello inconscio) innamorato.

Tim Winton, con una penna, l'abbiamo detto, che intinge ora nelle visioni più psichedeliche e lisergiche ora nella concretezza più cruda, descrive così Tom che, pian piano, deve necessariamente tornare a fare i conti col mondo. E non soltanto con gli affetti, piccoli o grandi non fanno differenza, rappresentati da Gemma, la sua vicina di appartamento, e dai contatti con la madre e con la sorella ma anche e soprattutto con la conoscenza di Kai, nipote della stessa vicina, un bambino di sei anni molto gracile e molto sveglio. E da quando fa la conoscenza dei due vicini, la vita di Tom, gradatamente, subisce un cambiamento. Costretto, suo malgrado, a tornare a fare i conti con il mondo, egli si ritrova così a dover patire anche le ferite e gli incidenti di percorso che ciò porta con sé. 

Si assiste così ad una sorta di parallela educazione, non tanto sentimentale quanto comportamentale, allo stesso tempo del grande, Tom, e del piccolo, Kai: i due infatti si somigliano, sono entrambi intelligenti ma molto chiusi in loro stessi e, forse proprio per questo motivo, subito si capiscono. Entrambi paiono avere disperata necessità di una figura paterna: ma se nel caso di Tom, Nev, il padre era una sorta di eroe piccolo-borghese, "l'orso-buono", un predicatore sempre pronto a difendere gli umili e gli oppressi, il padre di Kai è un balordo, un poco di buono che non ha interesse per il proprio figlio. Nonostante queste due provenienze paterne, diciamo così, totalmente paterne, Tom E Kai si intendono e si intendono quasi sempre al volo.

Certo Kai è un bambino molto particolare, con una grande passione per i volatili, che fa inquietanti sogni notturni sulla morte e che dimostra un'intelligenza e un'acutezza di pensiero davvero fuori dal comune. Tuttavia, lungi da qualsiasi morbosità, con Tom intesse un legame speciale: non è un surrogato del padre, ma semplicemente (o forse fatalmente) un compagno di assenza paterna.

Winton riesce così a realizzare un gioco molto raffinato in cui spiccano le descrizioni dell'ambiente naturalistico e "umano" della cittadina australiana, colta in un presente in cui tutto, lentamente ma inesorabilmente, sta sfiorendo, in una decadenza fisica e morale che tutto ammorba. Sicuramente il libro presenta qualche punto morto, grosso modo dopo la metà, riconducibile ad una vicenda che non ingrana mai del tutto, con un personaggio, Tom, volutamente imbelle, anzi inebetito dal consumo di farmaci e calmanti. Il Nido poteva essere un libro fantastico, perfetto per un film  di Spike Jonze, il regista di Her per capirci, ma non riesce mai a dare il famoso colpo d'ali e di sollevarsi, del tutto, dalla normalità. 

Tuttavia i pregi di Tim Winton sono numerosi, specialmente quando racconta il rapporto tra Tom, Gemma e Kai, gli screzi/rappacificamenti con la madre e l'ambiente circostante. Si tratta insomma di un ottimo affresco sullo sfacelo del mondo occidentale visto da un interno: da un sordido interno che si potrebbe definire tana ma che viene chiamato nido in onore delle creature che con un battito d'ali spariscono nell'immensità del cielo. Loro possono, noi umani no, attaccati "mani e piedi" a questa terra sempre più inquinata, triste e sporca. E pure le torri d'avorio in cui, a suo tempo, scrittori, poeti e scienziati si rifugiavano, hanno perso molto del loro smalto: sono adesso semplici appartamenti sporchi e tristi che quasi bollono sotto un sole cocente e senza pietà.