Insieme a loro i lettori appassionati che lo hanno seguito nello straordinario viaggio della Trilogia della pianura, perdendosi e ritrovandosi tra le strade di Holt, un luogo dall'anima americana ma capace di cristallizzare lo spazio in un frammento di eterno. Ospite d'onore della serata è stata Cathy Haruf che ci ha regalato il proprio tempo, ma soprattutto i propri ricordi raccontando l'avventura letteraria e umana del marito. Abbiamo avuto l'onore di incontrarla prima che cominciassero le letture e di sfogliare in anteprima le pagine di Le nostre anime di notte. Insieme a lei siamo partiti per un viaggio che è cominciato proprio a Holt, quella cittadina che non esiste su nessuna carta geografica ma che prende così tanto delle piccole città d'America e del mondo. Una comunità formata da tante sotto comunità, ognuna dominata da regole feroci, prima tra tutte il pregiudizio che Kent conosceva molto bene e che ha provato sulla propria pelle.
Dai luoghi dei romanzi ai luoghi dell'anima: per capire l'ultimo romanzo di Haruf si deve partire da un'immagine, quella di due anziani che parlano al buio sdraiati a letto, raccontandosi la vita che hanno avuto e le tante che non hanno vissuto. C'è intimità e onestà in queste chiacchierate notturne: ci sono Louis e Addie ma anche anche Kent e Cathy perché questo libro è anche un regalo a lei, una manifestazione di salvezza che viene dall'amore.
All the situations he wrote about are common to the human beings. He didn't judge his characters, even the bad ones [...] He was a wonderful friend and listener.
Cathy ci conferma quello che abbiamo letto nei libri di Kent: la sua sensibilità era interesse per la condizione umana, per le storie degli altri. Chi lo ha letto lo sa, lo ha sempre avvertito, perché prima di scriverle devi essere bravo a trovarle e ascoltarle, le storie degli altri. Niente colpi di scena o drammi da tragedia: l'intensità di Haruf sta nelle vicende più comuni capaci di trascendere le dimensioni del racconto e arrivare dritti nella vita. Dalla vita.
In queste ultime pagine Kent ha messo le storie di Addie, Louis e della contea di Holt, animato da un istinto vigoroso e urgente. Per tutti gli altri romanzi ha impiegato sei anni, prima appuntando i dettagli di ogni personaggio e storia, poi dando forma al testo. Questa volta non è andata così, perché c'era la consapevolezza di essere malato, di avere poco tempo. Ma Kent ha dimostrato che scrivere sa tenere a bada la morte.
Mentre con la memoria leggevamo e rileggevamo le storie di Haruf, ripensando ai fratelli McPheron e alla loro epica umanità, abbiamo chiesto timidamente - come chi entra piano in una casa sconosciuta per non disturbare - com'era Kent, cosa gli piaceva, cosa lo faceva ridere e arrabbiare.
Abbiamo scoperto che era timido e silenzioso, ma faceva anche divertire, che si infiammava davanti alle partite di football dei Denver Broncos e che scriveva sempre di mattina nel giardino, con indosso un cappello che lo faceva concentrare solo sulle sue parole.
Scriveva su una vecchia macchina da scrivere e poi era Cathy a trascrivere al computer, facendo da guardiano silenzioso che tutto osserva senza interferire, per cinque-sei giri di bozze. Abbiamo scoperto che parlavano tantissimo, di ogni argomento, e che quando poco prima che lui morisse lei gli ha chiesto "Pensi ci sia qualcosa che non ci siamo ancora detti?", lui ha risposto "No".
Anche grazie a questo abbiamo capito che ne Le nostre anime di notte c'è molto più di una "insolita" storia di amore che arriva quando pensi che la vita non abbia molto altro da regalarti. C'è la poesia delle piccole cose, il coraggio di guardare in faccia la bellezza del mondo anche quando tutto sembra difficile o ormai compromesso. C'è l'attitudine ad ascoltare silenzi carichi di significati e a osservare l'immensità dei cicli naturali.
C'è ancora tanto di quella "loose trilogy" che abbiamo amato; non solo perché anche questo romanzo parla di Holt, ma perché ritroviamo quei sottili fili di memoria che parlano delle persone, dritti al cuore delle persone. C'è tanta compassione per il mondo perché anche di fronte alla decadenza ci sono personaggi che si scelgono, nuove famiglie che nascono.
Finito l'incontro ho pensato a come sarebbe bello se per ogni scrittore che ci ha rubato il cuore ci fosse la possibilità di incontrare qualcuno che l'ha amato, vi ha vissuto vicino, l'ha conosciuto intimamente. E parlargli come abbiamo fatto noi, andando "quanto più vicini all'osso", raschiando via gli orpelli e la retorica, proprio come voleva il modesto Kent che amava mettere al centro più gli altri che se stesso.
Non sarebbe bello solo per soddisfare la proprià curiosità: sarebbe una forma di riconoscenza e allo stesso tempo un modo per riconoscere in quest'incontro quanto di unico abbiamo letto nei libri.
Salutata Cathy e uscita dal Teatro era come se conoscessi un pezzo in più di Kent, io che da lettrice ho sempre sentito il suo mondo così familiare, così conosciuto, così reale.
Claudia Consoli