di Thomas Hürlimann
traduzione di Mariagiorgia Ulbar
Marcos y Marcos, 2017
pp. 64
€14 (cartaceo)
Quando immaginiamo i grandi pensatori del passato crediamo inconsciamente che le loro riflessioni, le loro opere siano da sempre lì, che l'umanità abbia potuto da sempre godere dei testi che riportano le loro idee rivoluzionarie. Però non ragioniamo mai sul fatto che quei concetti, quelle parole sono il frutto di un lungo cammino, di un percorso di pensiero durato anche diversi anni e poi finalmente sfociato nei principi che noi tutti conosciamo.
Oggi ci troviamo ad analizzare un'opera che ha per protagonista Friedrich Nietzsche, del quale molti avranno solo un vago ricordo, qualche reminiscenza dagli anni del liceo che conduce in una sua celebre affermazione ("Dio è morto"). Thomas Hürlimann ambienta L'ombrello di Nietzsche nell'agosto del 1881, quando il filosofo tedesco è a Sils-Maria, in Engadina; nel corso di una passeggiata vede il suo ombrello rosso volare, sospinto dal vento. Ora che non c'è più nulla a frapporsi tra l'uomo ed il cielo, tra l'essere umano e la violenza degli elementi, solo un gatto pare indicare il cammino da seguire, sotto una pioggia scrosciante che tutto lava.
Nietzsche inizia così a concepire l'idea che lo condurrà a scrivere una delle sue opere più celebri, Così parlò Zarathustra, ed a noi non resta che seguirlo nelle sue peregrinazioni geniali, mentre l'autore del testo alterna digressioni sulla mitologia dell'ombrello e sul suo gatto Mufti, piccola ma saggia guida degli uomini che sembrano aver compreso tutto, ma senza ricordare nulla.
In questo modo assistiamo all'avvicendarsi della vera storia di Nietzsche con avventure biografiche personali e richiami ad altri testi, per offrirci un libro che, come ha osservato la traduttrice Mariagiorgia Ulbar nella sua nota
"ci tira dentro la filosofia del Novecento con un amo che è un ombrello rosso e che, se non pretende la conoscenza dello specialista in filosofia, verso il mondo della filosofia con baldanza ci spinge, ci spinge verso il gusto della disttertazioen filosofica e del piacere del ragionamento".
Hürlimann ci spiega come l'ombrello per le antiche popolazioni cinesi ed egiziane richiamasse il tetto di una pagoda o di una palma, come questo fosse non solo il simbolo di un privilegio concesso a chi era ricco e potente, ma anche "un simbolo di trascendenza, metafisico".
L'ombrello simboleggiava il serpente, animale sacro per molte culture antiche, e dunque incarnava un essere intermedio che anche per Nietzsche che altro non era se non un"animale filosofico con le narici rivolte all'interno".
Dunque, per il pensatore tedesco l'ombrello incarna l'estremo baluardo tra l'uomo ed il cielo, l'ultima difesa tra noi e quel Dio sconosciuto e misterioso che governa le nostre azioni.
L'ombrello di Nietzsche è un testo piccolo, che si legge velocemente, ma ogni sua parola è densa e pregna di un significato che si cristallizza nelle pieghe più recondite dei nostri pensieri.
Mi piace concludere con una frase dell'autore che credo rispecchi bene le speranze di tutti noi uomini moderni che, ogni volta che volgiamo gli occhi al cielo, speriamo di non essere soli, perché sappiamo bene che non ci basterà un ombrello per essere al sicuro, ma che auspichiamo che dietro a quella grande volta celeste ci sia qualcuno che ci osserva e ci protegge. Ed allora:
"Forse, ed è un bel Forse, qualcosa ci protegge più di quanto pensiamo".