di Federico Maria Sardelli
Sellerio 2015
pp. 304
€ 14 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
In un'epoca in cui non c'erano ancora né YouTube, né social network, né la possibilità concreta di raggiungere con pochi click tutto il mondo, la musica - come tutta l'arte in quanto prodotto artigianale - possedeva un bacino d'utenza essenzialmente circoscritto alla zona di attività del musicista-artigiano (città, chiesa, corte ecc...). Costui fabbricava i suoi pezzi nella sua bottega e li immetteva sul mercato locale, sia sottoforma di esecuzioni e concerti che come manoscritti; magari, nella migliore delle ipotesi, si azzardava a farli stampare per garantirgli una maggior diffusione, ma non poteva permetterselo per ogni singola sua opera e spesso la musica invenduta non varcava la soglia della sua bottega. A fini promozionali era poi costretto a viaggiare molto spesso per recarsi da possibili acquirenti e committenti, sia su loro invito che di propria iniziativa; ed è proprio durante uno di questi viaggi che morirà di stenti e miseria il grande musicista Antonio Lucio Vivaldi (1678 - 1741), sorpreso dalla scomparsa di Carlo VI d'Asburgo, da cui sperava di ottenere un incarico a corte. Da quel momento in poi il nome del prete rosso cadde in un immeritato oblio e l'ingente quantità di musica rimasta in casa sua passò di mano in mano, finché nel primo Novecento fu recuperata e restituita al dominio pubblico grazie alle intuizioni ed agli sforzi di Luigi Torri ed Alberto Gentili.
Alla ricostruzione delle peripezie relative ai manoscritti vivaldiani è dedicato questo gradevolissimo volumetto di Federico Maria Sardelli, grande studioso di Vivaldi, musicista, disegnatore ed autore satirico. Non dico scrittore perché Sardelli - spero non me ne voglia - non è uno scrittore; o meglio, non è uno scrittore stricto sensu, di professione, ma lo diventa per l'occasione, dato che il frutto dei suoi studi non avrebbe potuto indossare una veste divulgativa migliore di quella del romanzo. Sardelli, infatti, è principalmente un musicista, ma anche questo "principalmente" non rende giustizia ad un personaggio poliedrico che esercita al contempo e con apprezzabili risultati musica, satira, arti figurative - e con ogni probabilità cucina, date le numerosissime citazioni e descrizioni mangerecce. Questa premessa si rende doverosa in quanto ne L'affare Vivaldi emerge ciascuna delle succitate anime dell'eclettico Sardelli, che pur scrivendo un romanzo di ambientazione storica non rinuncia a dargli una sua personalissima impronta. Che si occupi di musica è evidente - non solo per l'argomento trattato - fin dalle prime pagine: alla stregua di una partitura operistica viene fornito preventivamente al lettore l'elenco esaustivo dei personaggi principali; le primissime righe della narrazione, inoltre, non sono altro che indicazioni sceniche:
"Appartamento al secondo piano, vuoto. Silenzio ovattato, rotto raramente da deboli voci che provengono dall'esterno. Nella camera grande che guarda sulla Riva del Ferro la luce dorata del mattino entra dai vetri di due finestre che danno sul canale e taglia in diagonale la stanza."
(op. cit., p.13)
Da queste poche righe si intuisce anche la particolare attenzione ai dettagli visivi da parte di Sardelli. Ricorrono, infatti, frequentemente nel romanzo descrizioni minuziosissime (rasenti alle volte la pedanteria!) frutto della sua grande esperienza nelle arti figurative e non c'è passaggio o vicenda nel corso della lettura che non abbia le proprie coordinate visive, come se l'autore fosse stato realmente lì ad osservare i suoi personaggi comodamente seduto un poco in disparte.
Più in là la costruzione dei dialoghi sembra riprendere da vicino se non la struttura l'intenzione di un recitativo d'opera, in cui i personaggi ed i loro pensieri sono per il pubblico perspicui ed immediatamente identificabili, senza ombra alcuna. In generale non c'è nulla di nascosto o di celato nella scrittura ed il lettore può facilmente intuire oltre alla psicologia dei personaggi, le personali simpatie ed antipatie dell'autore.
Fin qui ordinaria amministrazione. Ci sono, però, almeno un paio di particolari che rendono L'affare Vivaldi un libro di notevole interesse. In primo luogo Sardelli non riesce a rimanere serio per troppe pagine e qui e lì la sua vena di autore satirico trova libero (e spassosissimo!) sfogo: si va da gustose iperboli ("Giacomo, tolto un iniziale blocco atrioventricolare di primo grado per lo spavento", p.162) e note di colore ("Torri si tastava visibilmente i coglioni dalla tasca dei pantaloni", p.181), fino alle supercazzole ante litteram di Francesco Vivaldi; il tutto all'insegna di un umorismo guascone, che non teme il turpiloquio, ma che al contempo riesce sempre a rimanere di buon gusto. Segnalo a tal proposito che, com'è giusto che sia nella satira, Sardelli dimostra un gusto particolare nel raccontare mentecatti e gente di bassa levatura morale: per l'occasione la sua scrittura si affida ad un repertorio di tipi umani riconoscibilissimo e di sicuro effetto.
A far da contraltare, invece, all'elemento goliardico ed a ricordarci che Sardelli ha colorato ed integrato dei disegni già tracciati dalla storia, intervengono i numerosi documenti originali riportati nel corso delle pagine per intero dall'autore. Vere e proprie colonne portanti dell'edificio narrativo, testimoniano la profonda erudizione ed il certosino lavoro di ricerca, selezione e riordino delle fonti da parte dell'autore, che per aiutare il lettore a distinguere meglio (e non senza sorprese!) il confine tra romanzo e realtà storica, aggiunge in appendice alcune note sulle fonti.
L'affare Vivaldi risulta così essere uno splendido e documentatissimo romanzo storico, che, al contrario di uno studio di settore è facilmente fruibile anche da un pubblico di non addetti ai lavori, mantenendo il fascino di un magnifico ed avvincente arazzo, appena abbozzato dalla storia e dalla cronaca e completato da Federico Maria Sardelli coi fili delle arti a lui più congeniali, ossia musica, satira, pittura ed un pizzico di cucina.
Adriano Morea