di Marco Missiroli
Feltrinelli, 2017
€ 8,50 (cartaceo)
pp. 156
Pare un gioco da bambini, l'atto di staccare la coda alle lucertole e collezionarle in un barattolo ha qualcosa del trofeo di guerra. Crudele e sanguinoso. Ma le lucertole, poi, continuano a vivere. Invece gli uomini che Pietro guarda alla televisione, coperti dal telo bianco e immersi nel loro stesso sangue, non fanno parte di un gioco. C'è qualcosa sotto, che il bambino non riesce ad afferrare, come invece fa nei suoi consueti giochi all'aria aperta. D'altra parte, sono tante le cose che Pietro non capisce: ad esempio, perché sua madre di tanto in tanto abbia lividi sul corpo, insieme a una tristezza che si fa sempre più contagiosa. Almeno finché Pietro non esce, chiacchiera con l'anziano giardiniere, gioca con il suo amichetto Luigi e dimentica, per qualche tempo, ciò che avviene entro le mura domestiche. Però il suo stomaco ricorda tutto, e si chiude drammaticamente quando il cibo nel piatto ha qualcosa che mantiene inalterata la forma dell'animale. Suo padre, invece, non sembra neanche notarlo, mentre mangia rumorosamente il contenuto del piatto e incita - obbliga? - Pietro a imitarlo. Perché il bambino vorrebbe compiacere il genitore, lo vorrebbe davvero, ma ci sono tante cose che la sua tenera età non riesce a spiegare; eppure l'istinto lo avverte di stare vigile...
Soprattutto, sono le strane lettere ermeticamente chiuse, a turbare di più Pietro e Luigi: sanno di doverle portare al papà di Luigi, senza mai aprirle, né farne cenno. E devono nasconderle tra le pagine dei libri di scuola, e fare come se niente fosse. Ma la curiosità è forte, soprattutto perché Pietro intuisce che il contenuto gli rivelerà verità temute, ma necessarie per crescere.
Anche in questo splendido libro di esordio, che Feltrinelli ristampa quest'anno, Marco Missiroli mostra il sempre ben dosato equilibrio tra delicatezza e crudeltà: non c'è il volto della mafia a cui siamo abituati; ma quello di due padri di famiglia che hanno un segreto e che i loro piccoli figli iniziano a ricostruire. C'è forse maggior violenza di crescere il proprio figlio giustificando gli omicidi visti in tv? O c'è maggior violenza di usare due minori come "corrieri"? Eppure è proprio la visuale dal basso, ovvero la prospettiva di Pietro, a filtrare gli eventi e a leggerli alla luce della sua ingenuità e buona fede.
Per questo la scoperta progressiva della verità è intervallata da illusioni e bugie che rimandano lo svelamento completo, e l'incredulità di Pietro è ben lontana dal nostro sesto senso di lettori adulti, purtroppo abituati al dramma. Ciononostate si resta sconvolti quanto Pietro alla rivelazione estrema, un po' come lo si restava nelle ultime pagine di Io non ho paura di Ammaniti (Einaudi), che lo stesso Missiroli conferma essere stato un modello (leggi l'intervista). Anche qui due bambini (sebbene Luigi sia meno di un comprotagonista), anche qui una figura anziana, il giardiniere anziano; anche qui un'amicizia fortissima, riconfermata dai giochi quotidiani ma soprattutto dalla condivisione del segreto; e anche qui la cruda rivelazione dell'età adulta, attraverso la caduta della figura genitoriale, ormai sporca e rea. Ma il tutto avvolto nello stile letterario di Missiroli, che pare già ben maturo e assolutamente originale.
Ancora una volta, crescere vuol dire aprire gli occhi, lasciar cadere le proprie illusioni e, soprattutto, per il bene di chi si ama decidere come agire. Questa volta in prima persona.
GMGhioni