Grande nudo
di Gianni Tetti
Neo Edizioni, 2016
pp. 688
€ 17,00
Da qualche parte, rinchiusa in una stanza imbottita, una donna nuda e impaurita parla con un cane nero, segregata da due aguzzini che la seviziano deridendola. Altrove un uomo si risveglia in una grotta sul mare: ascolta il suo respiro, è ferito o malato, non riesce ad alzarsi, ci prova, ricade a terra, richiude gli occhi. Fuori, comincia a soffiare il vento. Un vento che soffierà incessante, violento, travolgente per mesi, anni, forse per sempre.
Il vento dovresti sentirlo. Non si sente altro. Un vento di maestrale che fa venire la pelle d'oca. C'era stato un maestrale così freddo, dieci anni fa. S'era portato appresso un diluvio. Per questo, oggi abbiamo paura. Siamo tutti superstiti. Siamo quello che è rimasto. Dopo le guerre, dopo gli attentati. Dopo i virus. Dopo la Grande depressione. Dopo la ripresa che ne ha ammazzato più di tutti.
La cosa più strana sono i cani. Scappano dalla città per radunarsi in branchi minacciosi nelle campagne infette, il regno assolato e brullo dei contadini: reietti piagati da un morbo senza nome e privati di tutto, rifiuti di una società che li ha espulsi per mantenersi pura. Ma è troppo tardi per la purezza, lo è sempre stato. Squassata dal vento e da misteriosi attentati terroristici che mietono decine di migliaia di morti, la città decide di erigere un muro tutto intorno a sé: diventa un'isola, da cui non si può uscire e in cui è proibito entrare. L'idea è: noi dentro, loro, il male, fuori. Il vero male però sta dentro: all'interno del muro la vita è marcia, malata. Dietro la facciata della più mediocre banalità imperversano razzismo, indifferenza, perversioni, violenze di ogni sorta. Le vere parole chiave di Grande nudo, l'ultimo, torrenziale romanzo di Gianni Tetti.
Siamo in Sardegna, a Sassari. Oggi, o forse domani. Non è un mondo post-apocalittico solo perché l''apocalisse non c'è ancora stata, ma le premesse ci sono tutte e la differenza, in fondo, è davvero poca. E comunque si sta organizzando in grande stile, l'apocalisse. Annuncia il suo arrivo non con trombe celesti, ma con i latrati dei cani che, nascosti di giorno, ricompaiono di notte per uccidere e razziare. Si riflette negli occhi gialli del majarzu, un pescatore dagli occhi gialli ritrovatosi involontario messia di orde di derelitti alla ricerca di una nuova terra promessa. Si avvicina sulle ali di quel maestrale che non accenna a diminuire.
Sussurra un nome, quel maestrale: Maria.
Dall'elenco nudo e crudo dei suoi ingredienti essenziali (esplosioni, attentati terroristici, masse infette, nubi tossiche, guerre, interventi militari, carestie e vendette), Grande nudo sembrerebbe presentarsi come l'ennesima variazione su qualche genere di romanzo popolare. Tutt'altro: quello che Gianni Tetti ha scritto è semmai un romanzo impopolare. In senso buono, ovviamente.
Se la narrativa popolare si identifica di solito con un tipo di romanzo modellato sulle aspettative del pubblico, in grado di mantenere sempre ben chiara la distinzione tra bene e male, sviluppare un intreccio ben definito e dirigere ogni vicenda a una conclusione soddisfacente per il sistema di valori del suo lettore ideale, be', rispetto a tutto questo il romanzo di Gianni Tetti si pone esattamente agli antipodi. Qui abbiamo una storia ben delineata, sì, ma che disorienta il lettore quasi a ogni passo fino alla fine, con il suo andamento erratico, i continui cambi di punti di vista e di voci narranti, lo stile spezzato in una paratassi all'inizio frastornante, poi poetica, ipnotica, seduttiva nel suo ritmo sempre perfettamente modulato. Una distorsione narrativa che restituisce perfettamente l'immagine del mondo allo sbando di cui Tetti racconta la progressiva distruzione.
Ma ciò che costituisce la cifra autentica di Grande nudo è la confusione etica dei suoi protagonisti. Avvelenando in vari modi ogni possibile distinzione tra buoni e cattivi, giusto e sbagliato, Gianni Tetti architetta un romanzo in cui tutti sono dalla parte sbagliata. Nel mondo chiuso e autoprotettivo del romanzo sfila una processione di casi umani dalla moralità discutibile e dalla psiche distorta che, protetti da una maschera di noia e routine, mettono in scena un crescendo di ordinaria follia: violenze fisiche e psicologiche, depravazione sessuale, omicidi, cannibalismi, dipendenze, ipocrisie. Chi si ritrova dalla parte giusta ci è finito per caso, dopo azioni spesso terribili o come ultimo stadio di un percorso umano che, semplicemente, non aveva più nemmeno un fondo da raschiare. Nessuna meraviglia che, in un quadro del genere, l'unica possibilità di salvezza per un'umanità alla deriva risieda nel ritrovato ruolo di madre di una donna talmente disumanizzata da essere nota come "la cagna": Maria, ridotta da sevizie e segregazione al punto da confondersi ormai in pieno con i cani randagi che, a lei e solo a lei, ubbidiscono.
Maria, donna. E madre. Tra figli che non hanno che lei, s'è ricordata di esserlo. Sentendo in mezzo al petto un tonfo ogni volta che un bambino urla, cade, sorride, s'è ricordata.
Con Grande nudo, Gianni Tetti architetta un romanzo strutturalmente incontrollabile in cui la confusione dei piani è totale e straniante, in costante equilibrio tra banalità delle premesse e surrealtà degli sviluppi, tra paganesimo delle tradizioni sarde e riscoperta della religione della maternità. E, soprattutto, in cui non serve mettere in scena un immaginario universo post-apocalittico frutto di cataclismi extra-ordinari: perché è molto più interessante seguire fino al suo limite estremo la dissoluzione inesorabile del nostro mondo reale. Mostrando che era già tutto lì, esasperato ma trattenuto. Una disgregazione ordinaria e quotidiana di cui siamo gli unici responsabili, destinata a consumarsi sotto i nostri occhi finché non si alzerà un vento abbastanza forte da trascinarci tutti via con sé.
Peccato solo per i refusi, disseminati quasi ovunque nel testo; un giro di bozze in più non avrebbe guastato.
Luca Pantarotto
Luca Pantarotto
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