di Charlotte Brontë
Flower edizioni, 2017
Traduzione e cura di Alessandranna D'Auria
pp. 94
€ 7,99 (ebook)
€ 12,43 (cartaceo)
Ancora Charlotte Brontë , ancora un manoscritto incompiuto, l’ultimo. Nell’anno brontiano, la casa editrice Flower prosegue l’opera di pubblicazione degli inediti della scrittrice inglese, chiudendo proprio con I Moore, riscrittura alternativa del suo primo romanzo dell’età adulta, Il Professore (1846), pubblicato postumo e lo scorso anno nuovamente tradotto in italiano. Rifiutato da numerosi editori, Il Professore è forse il testo più intimo di Charlotte, nato dall’esperienza a Bruxelles, esempio di una scrittura in divenire, non ancora matura, certo, ma in cui sono già facilmente rintracciabili le qualità che caratterizzeranno le opere successive. Il crudo realismo, la trama piuttosto semplice che privilegia l’indagine psicologica alla narrazione di fatti straordinari, la scelta di nascondersi dietro un punto di vista maschile, le opinioni decise su matrimonio, relazioni e codici morali, sono, di fatto, gli elementi che appaiono oggi più interessanti, tematiche e spunti che ritorneranno anche nei romanzi più celebri, ma che all’epoca della scrittura ne hanno impedito la pubblicazione. Eppure Charlotte è sempre rimasta molto legata a questo romanzo, in parte probabilmente per via dei numerosi spunti autobiografici che la vicenda contiene, ma anche per la certezza che in fondo, nonostante le feroci critiche e i rifiuti decisi, Il Professore meritasse maggior benevolenza da parte degli editori.
Visti i presupposti, non è difficile immaginare lo spirito con cui l’autrice si sia ritrovata, pochi anni dopo – presumibilmente tra il 1848 e il 1849, come sottolinea la curatrice dell'opera – a riscrivere questo romanzo, nel tentativo di vederlo finalmente pubblicato: della prova restano solo i primi tre capitoli, in questa edizione italiana pubblicati nella traduzione di Alessandranna D’Auria (che ha curato anche gli altri testi inediti usciti sempre per Flower edizioni), che abilmente si sottrae ad abbellimenti e correzioni di un testo che porta in sé evidenti i segni della mancata revisione, la scrittura acerba e frettolosa di una prima stesura su cui l’autrice ha deciso poi di non intervenire, profondamente convinta del valore di quella prima versione del romanzo che solo dopo la sua morte sarà finalmente pubblicato. Laddove Il Professore è scritto in prima persona e, per voce del protagonista William, conduce il lettore immediatamente al cuore della vicenda, in questo incipit alternativo l’autrice presenta invece per primo il suo fratellastro, Henry Moore, e la moglie, rappresentati nella quotidianità di freschi sposi: in poche pagine l’autrice tratteggia due personaggi estremamente antipatici, l’uno borioso e prepotente, l’altra simbolo di una società superficiale, priva di valori, in cui l’unica cosa che sembra contare è un matrimonio adeguato al personale desiderio di comodità e vita mondana. Difficile immaginare si crei empatia tra il lettore e questi personaggi e, pur comparendo sulla scena solo per pochi istanti, è nel fratellastro venuto a chiedere l’aiuto di Mr Moore che siamo subito propensi nell’accordare una certa dose di simpatia.
Di fronte a questo breve testo, sorgono quindi numerosi dubbi nel corso della lettura, a partire dalle ragioni stesse di pubblicare gli incompiuti di Charlotte in singoli volumi – comprendiamo, naturalmente le motivazioni commerciali – , quando forse sarebbe stato più opportuno proporre un’unica raccolta completa di tutti i quattro manoscritti, presentando i testi originali accompagnati dalle puntuali traduzioni di D’Auria e corredata dall’interessante apparato bibliografico e critico che non manca in nessuno dei volumi così invece singolarmente pubblicati. Come quasi sempre di fronte a testi giovanili e/o incompiuti, inoltre, ci si interroga sull’opportunità o meno di pubblicare scritti di questo genere, che spesso aggiungono un tassello nella ricostruzione della bibliografia dell’autore ma dal punto di vista critico hanno scarso valore: non è del tutto il caso degli incompiuti di Charlotte che, oltre naturalmente ad ampliarne la bibliografia, permettono spunti di riflessione anche interessanti circa l’evoluzione della scrittura, il percorso personale e professionale dell’autrice, lo sviluppo di uno stile proprio. Infine, ogni qualvolta mi trovo di fronte a testi di questa natura, l’impressione che ne ricavo è di opere adatte soprattutto – ma, certo, con le dovute eccezioni – ad un determinato pubblico, che, in primo luogo, abbia già familiarità con i lavori più celebri; e un pubblico, forse, perfino specialistico, non necessariamente accademico, ma che in qualche modo possegga adeguati strumenti critici– o, perché no, si affidi a quelli disponibili nell’apparato critico fondamentale in edizioni di questo tipo – per non fermarsi ad una lettura superficiale ed analizzare quindi più compiutamente il testo, mettendolo in relazione con il resto della produzione letteraria dell’autore in questione.
Nel caso specifico de I Moore, il problema principale, condiviso anche da D’Auria nella postfazione, è che ci troviamo di fronte ad un testo non soltanto privo di revisione, dalla scrittura incerta, ma, soprattutto, un tentativo di riscrittura di un romanzo che a posteriori possiamo considerare migliore di quanto ogni nuova versione avrebbe potuto esserlo, qualità di cui era perfettamente consapevole la stessa autrice, come sottolineato ancora dalla curatrice dell'opera:
[…] pubblicare, a qualunque costo, con qualunque sacrificio. Così nacque una variazione. Questa. […] Quale fu la conseguenza di questo “tradimento”? Il testo è forzato, è difficile, quasi nervoso in certi punti e il più delle volte intervallato da dialoghi tirati.
La scrittura in terza persona che, sanno bene i suoi lettori, decisamente non è congeniale a Charlotte, i dialoghi rigidi e a tratti incoerenti, le imprecisioni di un testo come si è detto del tutto privo di revisione, lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi che risultano stereotipati, mera maschera di vizi e debolezze dell’ambiente sociale che si apprestava a ritrarre in questo romanzo, i ripetuti appelli al lettore: debolezze e difetti che saltano immediatamente agli occhi, soprattutto se si conosce la versione poi pubblicata de Il Professore, romanzo non perfetto ma senza dubbio migliore rispetto a questa riscrittura. Tuttavia, è decisamente interessante seguire la riflessione di D’Auria e leggere I Moore non – solo – quale incipit alternativo del primo romanzo, bensì come opera distinta:
[…] dobbiamo considerare I Moore come un ponte tra Il professore e Shirley. […] I Moore detiene del primo il rapporto tra fratelli e del secondo l’ambientazione, quello spaccato di vita e società industriale, oltre al cognome Moore riutilizzato per i fratelli Robert e Louise.
In quest’ottica, pur restando evidenti tutti i limiti riscontrati nel testo, I Moore rappresenterebbe però un passo ulteriore nella bibliografia brontiana e, pur nascendo come incipit alternativo de Il Professore, avrebbe forse potuto trovare dimensione autonoma.
Messo da parte – per inseguire una nuova storia che intanto andava formandosi nella mente di Charlotte e convinta della validità della versione già scritta del primo romanzo – il testo qui presentato ha quindi una natura ambivalente e, più degli altri incompiuti pubblicati, getta spunti di riflessione interessanti nella ricostruzione del percorso letterario dell’autrice inglese.