Italia
di Charles Wright
a cura di Moira Egan e Damiano Abeni
Donzelli, 2016
€ 18,50 (cartaceo)
Che la distanza tra la poesia italiana e quella statunitense dipenda da molto più che da semplici fattori geografici è opinione comunemente diffusa tra i critici e gli sparuti cultori del genere. In effetti tale pregiudizio è suffragato dalla differente evoluzione delle rispettive storie linguistiche e letterarie; una storia che, nel caso che ci riguarda più da vicino, fa leva sul peso di una rigida quanto illustre tradizione secolare. Insomma, l'auctoritas del Petrarca (a cui solo in un secondo momento si aggiunge quella del 'vate' Dante) funge nella penisola da centro catalizzatore di tutte le esperienze poetiche fino al Novecento inoltrato, determinando così una dinamica nei confronti dell'exemplum che Harold Bloom ha sagacemente definito "angoscia dell'influenza". Quante volte, infatti, da varie parti della penisola si è guardato con invidia (e sempre, appunto, in un'ottica di pre-giudizio) alla più libera e meno invadente presenza dei 'padri' fondativi nella letteratura d'oltreoceano! L'erba del vicino (anche se è lontano) è sempre più verde, come è noto, e quasi mai si tiene in conto la prospettiva dell'altra parte...
Tale premessa ci sembra d'obbligo per parlare del volume antologico Italia, edito di recente per i tipi di Donzelli, che sotto la rigorosa e appassionata curatela di Moira Egan e Damiano Abeni (che firmano anche l'ottima traduzione) raccoglie alcuni scorci dell'attività letteraria di Charles Wright con la precisa idea di "percorrere la sua opera poetica non sulla base di assunti estetici o stilistici, quanto piuttosto 'fisici', ricostruendone passo passo la traiettoria mettendo una dietro l'altra le numerose tracce che l'Italia - l'amatissima Italia - aveva lasciato nelle sue poesie", come si legge nella postfazione al libro.
Originario del Tennessee, classe 1935, Charles Wright è unanimemente considerato una delle voci più significative della poesia statunitense contemporanea. Il lavoro di Egan e Abeni ha dunque il merito di colmare una lacuna editoriale che in Italia, a parte rarissime eccezioni ormai un po' datate, è piuttosto evidente. Inoltre, e non ultimo, questo filo rosso del libro donzelliano restituisce indiscutibilmente al lettore italiano un'immagine del nostro paese che lo sguardo di uno straniero innamorato, quale è appunto questo di Wright, riesce a cogliere nella sua bellezza e nella grandezza di una storia culturale che, per diverso tempo, e sia detto senza vanto campanilistico, ha coinciso con quella del mondo occidentale.
È una lunga fedeltà quella di Wright nei confronti dell'Italia, le cui origini risalgono addirittura al tempo del servizio militare a Verona negli anni cinquanta. La fedeltà, si direbbe, di un allievo che va a bottega da maestri di indiscusso prestigio, come ad esempio quel Giorgio Morandi dietro la cui figura il poeta statunitense nasconde una precisa dichiarazione di poetica: "Tu, di tutti i maestri, sei stato il compagno segreto / di ciò che è più importante, | l'esclusione, / finché la forma scaturisce da ciò che è stato dato, / e mai imposto, / raschia e cancella, raschia e cancella | finché l'oggetto non si fa nitido." (Omaggio a Giorgio Morandi)
Ma, risalendo il corso della bibliografia poetica di Wright, fino al 1970 di The Grave of the Right Hand, è un continuo susseguirsi di personaggi (da Dante a Campana passando per Leopardi e Michelangelo) e situazioni (cinema romani, bar fiorentini, osterie veronesi, ecc.), nonché un preciso riferimento a geografie e topografie italiane, che testimonia in effetti una presenza invasiva e ispiratrice di una 'funzione-Italia' che accompagna e quasi scandisce la creazione poetica del Nostro. Soprattutto, è quando la sostanza memoriale, su cui si incardina la poesia di Wright, incontra l'elemento prettamente culturale e storico della tradizione italiana, come ad esempio in Laguna dantesca, The Southern Cross, Journal of the Year of the Ox e Light Journal, che la scrittura di Wright raggiunge. a nostro avviso, i picchi più notevoli.
Che ci volesse dunque un poeta del Tennessee per indicarci come si può accogliere benignamente la nostra tradizione letteraria senza sentirne il peso e 'l'angoscia dell'influenza'?
Pietro Russo
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