di Arnold Zable
The Text Publishing Company
Melbourne, Australia, 2002
non ancora pubblicato in Italia
pagine 222
Pressoché
sconosciuto in Italia, Arnold Zable è un narratore e romanziere di
altissimo pregio, abilissimo nel creare legami con il lettore grazie
a un lessico prezioso, alla dimensione intima della sua scrittura e a una
forte carica poetica ed emotiva. Australiano ma figlio di profughi
polacchi di origine ebraica, Zable si è spesso dedicato a tematiche
legate alle migrazioni, tentando di spostarne la prospettiva di
analisi da mero fenomeno emergenziale a dinamica umana naturale,
costante e reiterata, evento causato dalla necessità di cercare
rifugio da situazioni di vita insostenibili.
The Fig Tree
è una serie di storie vere, storie di emigranti e di profughi,
comunque storie di persone, donne e uomini che hanno operato scelte
obbligate e tutt'altro che facili, sradicandosi dai luoghi di origine per cercare
un'esistenza decente dall'altra parte del mondo.
Protagonisti delle storie di Zable sono i suoi genitori e quelli della moglie, giunti in Australia dalla Grecia prima che lei nascesse. Per ognuno di loro, Zable ripercorre la vita prima e dopo l'emigrazione dall'Europa; per ognuno di loro, Zable dipinge un ritratto mai agiografico ma sempre intriso di affetto e di profonda empatia.
Il narrato porta alla luce persone autentiche, forti e deboli allo stesso tempo, tormentate dalla nostalgia ma non più in grado di mettere radici, tutte condannate come Odisseo alla lontananza da Itaca ma, una volta ritornate, incapaci di fermarsi.
Ed è proprio a Itaca, luogo di origine della famiglia della moglie di Zable, che lo scrittore incontra sia gli immigrati di ritorno, rientrati in porto ma sempre con gli occhi rivolti verso il largo, sia le donne della famiglia che, come Penelope, dall'isola non si mossero mai, radicate in perenne attesa a quella terra come gli antichi e tenaci alberi di ulivo sparsi ovunque. Grazie a loro, davanti a Zable si svelano ritmi di vita remoti e immutabili, vicende di partenze, ritorni, guerre e amori che lo scrittore riporta con una sensibilità poetica di livello eccelso.
Delicatissimo e commovente è poi il ritratto che Zable disegna narrando le vite del padre e della madre, con la passione per la poesia dell'uno e per il canto dell'altra, riportandone la vita difficile in quella non-patria, l'odierna Bielorussia, alle prese con le quotidiane discriminazioni in quanto ebrei, e l'esodo verso la Nuova Zelanda e poi l'Australia, deciso dopo l'ennesimo pogrom a opera delle milizie zariste.
Migrazioni di ieri, migrazioni di oggi: Zable non cristallizza l'attenzione su ciò che avvenne quasi un secolo fa, ma inserisce anche le storie di chi, ai nostri giorni, deve percorrere il cammino massacrante già intrapreso da altri in diversi momenti della Storia.
In The Fig Tree compare anche il figlio di Zable, che in qualche modo rappresenta il risultato di queste migrazioni, lo sguardo al futuro, e allo stesso tempo la ragione per cui lo scrittore ripercorre le vite di quegli avi che il bambino non avrà conosciuto ma che a lui sono legati da una ininterrotta catena ancestrale.
Partenze, ritorni, sradicamenti, ricollocamenti. Eventi difficilissimi, dolorosi, perché "non c'è tempo per la poesia quando deve essere costruita una nuova vita"; eventi comunque di impatto fortissimo sulle vite di chi li opera, che Zable rappresenta con rispetto, consapevolezza ed estrema lucidità. Peccato davvero che l'immigrazione dei suoi libri in Italia non sia ancora avvenuta. Noi aspettiamo con le porte aperte.
Protagonisti delle storie di Zable sono i suoi genitori e quelli della moglie, giunti in Australia dalla Grecia prima che lei nascesse. Per ognuno di loro, Zable ripercorre la vita prima e dopo l'emigrazione dall'Europa; per ognuno di loro, Zable dipinge un ritratto mai agiografico ma sempre intriso di affetto e di profonda empatia.
Il narrato porta alla luce persone autentiche, forti e deboli allo stesso tempo, tormentate dalla nostalgia ma non più in grado di mettere radici, tutte condannate come Odisseo alla lontananza da Itaca ma, una volta ritornate, incapaci di fermarsi.
Ed è proprio a Itaca, luogo di origine della famiglia della moglie di Zable, che lo scrittore incontra sia gli immigrati di ritorno, rientrati in porto ma sempre con gli occhi rivolti verso il largo, sia le donne della famiglia che, come Penelope, dall'isola non si mossero mai, radicate in perenne attesa a quella terra come gli antichi e tenaci alberi di ulivo sparsi ovunque. Grazie a loro, davanti a Zable si svelano ritmi di vita remoti e immutabili, vicende di partenze, ritorni, guerre e amori che lo scrittore riporta con una sensibilità poetica di livello eccelso.
Delicatissimo e commovente è poi il ritratto che Zable disegna narrando le vite del padre e della madre, con la passione per la poesia dell'uno e per il canto dell'altra, riportandone la vita difficile in quella non-patria, l'odierna Bielorussia, alle prese con le quotidiane discriminazioni in quanto ebrei, e l'esodo verso la Nuova Zelanda e poi l'Australia, deciso dopo l'ennesimo pogrom a opera delle milizie zariste.
Migrazioni di ieri, migrazioni di oggi: Zable non cristallizza l'attenzione su ciò che avvenne quasi un secolo fa, ma inserisce anche le storie di chi, ai nostri giorni, deve percorrere il cammino massacrante già intrapreso da altri in diversi momenti della Storia.
In The Fig Tree compare anche il figlio di Zable, che in qualche modo rappresenta il risultato di queste migrazioni, lo sguardo al futuro, e allo stesso tempo la ragione per cui lo scrittore ripercorre le vite di quegli avi che il bambino non avrà conosciuto ma che a lui sono legati da una ininterrotta catena ancestrale.
Partenze, ritorni, sradicamenti, ricollocamenti. Eventi difficilissimi, dolorosi, perché "non c'è tempo per la poesia quando deve essere costruita una nuova vita"; eventi comunque di impatto fortissimo sulle vite di chi li opera, che Zable rappresenta con rispetto, consapevolezza ed estrema lucidità. Peccato davvero che l'immigrazione dei suoi libri in Italia non sia ancora avvenuta. Noi aspettiamo con le porte aperte.
Stefano Crivelli