di Brian Panowich
NN Editore, 2017
traduzione di Nescio Nomen
pp. 304
€ 18 (cartaceo)
Le umane debolezze sono,
da che mondo è mondo, un segmento di mercato ben preciso e
circoscritto, oggetto di estrema attenzione in quanto area di
sviluppo potenzialmente inarrestabile e illimitato, nonché fonte
inesauribile di spinte all'innovazione e alla creatività.
Innovazione e creatività
sono – appunto – il carburante che permette il funzionamento
della macchina produttiva della famiglia Burroughs, protagonista del romanzo di cui andremo a parlare, che ha fatto
dell'evoluzione la principale ragione di successo ininterrotto da oltre
cinquant'anni, passando dalla distillazione di moonshine (di
ottima qualità, peraltro) alla coltivazione di marijuana e, per
stare al passo con i tempi, alla produzione di metanfetamine.
Bull Mountain, lo
strepitoso romanzo d'esordio di Brian Panowich, pubblicato da un paio di settimane in Italia grazie a NN Editore, prende le mosse nei
boschi della Georgia nel 1949 per concludersi ai giorni nostri,
seguendo le vicende dei diversi campioni di questa famiglia a dir
poco disfunzionale, in cui l'unico linguaggio comune è quello della
violenza e dell'abbrutimento. In questo mondo alla rovescia, Clayton
Burroughs, che si è allontanato dai fratelli e ora è lo sceriffo
della contea, rappresenta una vergogna, una macchia indelebile
nell'identità delinquenziale del clan.
Una saga familiare
tragica e drammaticamente reale, un romanzo in cui l'intreccio
disegna un cerchio perfetto attraverso le interazioni tra i
personaggi e lo scorrere del tempo, uno sviluppo in cui il senso
degli eventi e dei personaggi stessi affiora poco alla volta con il
procedere della lettura. Panowich gestisce il tempo della narrazione
in modo magistrale, scomponendo la successione cronologica in modo da
ricostruire gli eventi in modo efficace, esasperando
contemporaneamente la suspence e magnetizzando l'attenzione del
lettore.
Bull Mountain è
un noir superlativo, con una trama sorprendente e un altissimo
livello di realismo, che ruota intorno ai protagonisti definendoli in
modo approfondito, sondandone la psiche e presentando un contesto
sociale estremamente disagiato, minato dall'abuso di alcol, da
inaffettività e soprattutto da assoluta ignoranza su tutto ciò che
esiste oltre i margini della foresta in cui i Burroughs sono
confinati. Il loro mondo è esclusivamente maschile, perché le donne
fuggono da una quotidianità violenta e umiliante, abbandonando anche
i figli – maschi – a quella vita che si rivela un circuito chiuso
in cui anche i bambini, crescendo, avranno la strada già tracciata, immutabile di generazione in generazione.
Una situazione su cui incombe il paradosso dell'attaccamento alla terra e dell'onore familiare, del
valore della coesione, dell'unità pretesa a tutti i costi e
indipendentemente dalle scelte compiute, senza la minima
riflessione sulla mancanza di un'etica di qualsiasi genere nella
direzione data alle proprie vite. Un mondo in cui il confine fra
giusto e sbagliato, fra buoni e cattivi è estremamente sfumato e in
cui entrambe le caratteristiche permeano i protagonisti, nessuno dei
quali può assumere il ruolo di “cavaliere bianco” e scagliarsi
lancia in resta contro i mostri nascosti negli anfratti della montagna maledetta, proprio perché condannato a combattere con quelli che affiorano dal proprio passato. Tutti, nel mondo piccolo di Bull Mountain, sono in qualche modo legati gli uni agli altri, attraverso eventi anche casuali e imprevedibili. Qui il concetto di famiglia si rivela nell'accezione peggiore, dagli effetti tragici e ineluttabili.
Nella prosa di Panowich
sono ben presenti modelli “nobili” quali McCarthy, l'Elmore
Leonard di Justified, il Quinn Colson di Ace Atkins, oltre a
Lansdale, Pizzolatto, Lehane, Sam Hawken e altri ancora. Questo, tuttavia, non fa di Bull Mountain
l'ennesima riproposizione del western moderno, ma al contrario
arricchisce una trama già interessante con una narrazione cruda, diretta
e muscolare, intrisa di sangue e di moonshine, con un lessico di alto livello e allo stesso tempo
commisurato alle capacità espressive dei singoli protagonisti.
Sfondo della vicenda è, anche in questo caso, l'America di provincia, quel mondo nascosto, idolatrato o esecrato a seconda del punto di vista degli autori, comunque teatro ideale - molto più di quanto lo sia la big city - per rappresentare le controverse e multiformi vicende umane.
Stefano Crivelli
Sfondo della vicenda è, anche in questo caso, l'America di provincia, quel mondo nascosto, idolatrato o esecrato a seconda del punto di vista degli autori, comunque teatro ideale - molto più di quanto lo sia la big city - per rappresentare le controverse e multiformi vicende umane.
Stefano Crivelli