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I «Carciofi alla Giudia» divertono e convincono: il felice esordio di Elisabetta Fiorito

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Carciofi alla giudia
di Elisabetta Fiorito
Milano, Mondadori, 2017

pp. 276
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Rosamaria - razionalista convinta, atea per scelta (dopo innumerevoli esperienze e riflessioni sulle diverse religioni esistenti) – e David – ebraico osservante – formano una coppia cosiddetta «mista», calata nella Roma contemporanea, in cui le loro differenze religiose e culturali devono scontrarsi non solo con i tanti interrogativi delle rispettive famiglie, ma anche con un'Italia che talvolta mostra in maniera più evidente le contraddizioni e le ferite della storia recente. Inoltre, in taluni casi, i due devono scontrarsi con le rispettive rigidità o le forti differenze nelle scelte di vita. Se aggiungiamo che i due aspettano un bambino, e che Rosamaria è sempre più preoccupata dall'imminente circoncisione, la storia non può che farsi interessante.
Tra le varie vicende che ci regalano un vivace affresco di una vita divisa tra le ricorrenze giudaiche e quelle cattoliche, Rosamaria deve fare i conti anche con delle novità che si profilano all'orizzonte: David, improvvisamente scopre di avere una figlia in Israele, avuta da una precedente relazione con una ragazza del posto – il suo amore più grande – e si ritrova quindi, subito dopo la nascita del piccolo Arturo, a partire per conoscere la figlia. Come reagirà Rosamaria, ancora all'oscuro di tutto, quando dalla porta degli arrivi internazionali vedrà spuntare David accompagnato da Ruth?
Già il titolo ci consegna una prima chiave di lettura del testo, quella della convivenza tra due diverse culture, quella israelitica e quella italica: i carciofi alla giudia, infatti, sono un piatto tipico della tradizione ebraico-romanesca; la ricetta, nata nel ghetto della capitale, consiste sostanzialmente in una duplice frittura di questi ortaggi, e veniva preparata in particolar modo nel periodo della ricorrenza del Kippur. Tale piatto, emblema della fusione delle due tradizioni diventa nel libro un elemento fondamentale, non solo perché diventano il simbolo dell'unione di due culture religiose, rappresentate da David e Rosamaria, ma anche perché vengono cucinati dalla madre della protagonista – la più restia a comprendere le scelte della figlia –, segnando un decisivo passo in avanti nell'accettazione della sua vita. Inoltre, la preparazione segna anche il momento in cui Rosamaria svela alla madre il mistero che avvolge il destino del fratello, una delle vittime della crisi economica italiana, scomparso da tempo e ora identificato in un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
La scrittura è decisa e fluente, scorre veloce e, soprattutto, si respira un quasi costante senso dell'ironia che rende alcune parentesi davvero spassose. Forse alcune vicende avrebbero meritato un ulteriore approfondimento – ad esempio, la relazione di Ruth con un giovane ragazzo romano filo-palestinese, oppure le prime avventure di una primipara attempata quale è Rosamaria – tuttavia la narrazione si mostra equilibrata ed efficace. La Fiorito si muove bene tra il mondo caotico e romanesco della famiglia Ceccarelli e quello dei Fellus, quest'ultimo contrassegnato da un'intransigente osservanza dei precetti giudaici: Rosamaria si divide a metà tra il Pesach e la Pasqua, tra il Kippur e il Natale, tra il pranzi kasher della suocera e il prosciutto della madre Giovanna. I momenti comici sono affidati perlopiù a quest'ultima, tipica donna del popolo romano e con molti interrogativi sulle scelte di vita della figlia, su tutte la decisione di aver intrapreso la carriera di regista teatrale. Già, perché la nostra protagonista non solo deve fare i conti con le regole gastronomiche ebraiche, districarsi tra le varie ricorrenze e festività, evadere le stoccate materne, affrontare l'inflessibilità del marito, ma deve anche fronteggiare le conseguenze della crisi economica in cui è caduto il Bel Paese, e in cui le uniche opere teatrali che sembrano funzionare sono le commedie di scarso – scarsissimo – livello. Opere in cui Romeo e Giulietta vengono sradicati da Verona, ai fini di una rilettura quantomai traditrice e grossolana:

«Sergio, andiamo al punto...»
«Beh, insomma, ho parlato con l'amministratore… ha cominciato a dirmi che forse con la crisi non è il caso di mettere in scena opere nuove… meglio dedicarsi a cose già viste… a un…»
«Buon vecchio classico…»
«Appunto, ma come fai a saperlo?»
«Magari Romeo e Giulietta, così, tanto per attirare i giovani…»
[…]
«Certo! Geniale, magari facciamo anche Giulietta non troppo bella…» continuò Sergio all'altro capo del filo, mentre Rosamaria sentiva crescere dentro di sé una rabbia sarcastica.
«Così le ragazzine non la vedono come una rivale, ma Romeo invece bellissimo così vengono a teatro… adattamento postmoderno, postpunk, postpiercing…»
«Sapevo che avresti capito! Lo sapevo!»
Rosamaria avrebbe voluto sbattergli il telefono in faccia, ma si trattenne. Pensò a Giovanna e Orlando, alle spese per la nuova a casa, a Ruth in arrivo da Israele, a David e alla nuova linea di abbigliamento. Aveva un disperato bisogno di soldi. (pp. 118-119)
Ciò che più conta, però, una volta terminato il libro, è che l'unione di due destini, può andare oltre le differenze culturali e religiose, in una convivenza che, resa a tratti spassosa dalla penna dalla Fiorito, può diventare il corrispettivo reale dei carciofi alla giudia che danno il titolo al romanzo, emblema dell'unione di due culture.

Valentina Zinnà