Ha esordito con Lo Scuru (Tunué 2014), segnalato al premio Sciascia 2016, ha scritto una preziosa Piccola enciclopedia dei mostri e delle creature fantastiche pubblicata da 24 Ore Cultura e per i tipi di LiberAria è appena uscita la raccolta di racconti Stelle ossee. Orazio Labbate, giovane autore nato in Sicilia, viene considerato il fondatore di un genere letterario, il gotico siciliano, ispirato com’è al southern gothic americano; ha inoltre un blog sull’Huffington Post, collabora con Il Mucchio Selvaggio, è consulente della casa editrice LiberAria. L’ho intervistato sulle sue pubblicazioni, sul lavoro di editing che ha portato a termine insieme agli editor, sulla sua attività di lettore, che è alla base della scrittura.
A proposito dell’editing dello Scuru, in un’intervista hai detto che Vanni Santoni «non ha mai alterato le parole, né è intervenuto sul significato del testo», ma ha svolto la sua funzione di editor «solo suggerendo e capendo». Ti va di raccontare il percorso dovuto al lavoro maieutico di Santoni? Quale evoluzione ha seguito il romanzo? Su cosa hai dovuto lavorare di più?
Vanni Santoni legge dentro quella sorta di reticoli immateriali che dimorano ancora invisibili nella letteratura del manoscritto; mi spiego: l’editor Santoni ti dà la possibilità (senza intervenire aggressivamente sulle pagine e sulla lingua; ovvero non mutandone le potenzialità; soltanto suggerendo con minuzia e previo studio profondo) che l’opera dal suo stadio iniziale via via si esprima secondo il reale valore.
Si tratta di un dialogo magico e costante. Letterario e umano.
Santoni è sempre presente; non è perciò figura fantasmatica per lo scrittore esordiente. Diviene tutt’uno con l’autore. È una rarità quest’approccio professionale.
Il lavoro su Lo Scuru non è mai avvenuto secondo uno schema di privazione letteraria del ruolo della voce bensì di consiglio a potenziarla e maturarla.
Ho lavorato di più sull’ampliamento narrativo e sul suo studio simbolico.
Come hai costruito la lingua densa dello Scuru, così evocativa e intrisa di dialetto? È venuta istintivamente, di getto o è il frutto di una lunga limatura e di scelte?
Dapprima attraverso le letture. Dunque da tutte le opere di Bufalino fino allo studio di Horcynus Orca di D’Arrigo; intanto non dimenticando di leggere con attenzione gli esponenti del southern gothic.
Dopodiché ho incominciato a effettuare la mistione tra il dialetto slang di Butera e Gela, sia attraverso i ricordi sia grazie all’effettivo parlato di strada che ho ascoltato e parlato negli anni; infine per studio accademico, personale, del dialetto siciliano.
Il mio lavoro è stato prima istintivo e poi di limatura, ma mai una limatura eccessiva onde non disperdere la fiamma linguistica – e la melodia funebre – che volevo trasmettere.
Monica Pareschi, a proposito della Piccola enciclopedia dei mostri ha detto: «Come ogni inventore di lingua, Labbate affronta la difformità per restituirci un idioma letterario che è solo suo». Se dovessi dire di cosa è fatta la tua lingua, cosa diresti?
Di una lingua letteraria che si propone l’obiettivo di materializzare il concetto metafisico di Aldilà.
Hai in mente di scrivere altri libri arricchendo la tua lingua del dialetto?
Al momento no. Il mio prossimo romanzo, che uscirà in autunno per Tunué, amplierà e proseguirà quell’epica iniziata con Lo Scuru, lavorando, anche e soprattutto, sulla lingua.
Nel romanzo ci sono diversi riti stregoneschi. Il rito dell’agnello o anche quello compiuto alla nascita di Concetta. Provengono dalla tua fantasia o anche dai racconti delle abitanti della Sicilia?
Da una mia reinvenzione immaginifica e letteraria delle “ritualità curative” attuate dalle comari di paese.
La Piccola enciclopedia dei mostri ha ovviamente un impianto diverso, si tratta di un bestiario in cui narri dei mostri che incontriamo in grandi opere della letteratura di tutti i tempi. Come hai lavorato a questa lista di creature? E in cosa è consistito stavolta il lavoro di editing?
Ho selezionato le creature dapprima secondo i diversi Miti; poi ho raccolto le figure mostruose dalle opere della letteratura gotica ed esoterica; infine, mi sono basato su quei miei gusti Horror che hanno direzionato nel tempo la mia scrittura.
Il lavoro di editing è stato di puro equilibrio. Bisognava bilanciare lo stile descrittivo con quello personale. Ho cercato dunque di non rinunciare al mio tentativo di voce individuale, intanto trattando argomenti di necessaria scrittura di natura enciclopedica.
Sei un lettore instancabile. Scegli cosa leggere anche in base a quello che hai in mente di scrivere? Raccontaci il tuo modo di essere lettore.
Sì, scelgo principalmente libri vicini o prossimi alla mia idea di letteratura; oppure che possano arricchire e migliorare la crescita della mia scrittura.
Sono un lettore molto esigente; rigido nella selezione dei libri, non scendo mai a compromessi.
La lettura per me è occasione di studio e insieme di nutrimento mentale e spirituale.
La tua ultima pubblicazione è Stelle ossee, una raccolta di racconti pubblicata da LiberAria. Parlane e di’ qual è il tuo rapporto con il genere del racconto.
Stelle ossee rappresenta un’isola letteraria a sé attraverso cui ho scritto (grazie alla preziosa brevità del racconto), dei miei temi “neri”; tutt’insieme armoniosamente funesti. Temi che vanno dal funerario al cosmico, fino al gotico siciliano.
Il racconto diventa per me un’occasione letteraria perché possa trasmettere il mio macrocosmo narrativo all’interno di un microcosmo.
La novella deve secondo me essere, mi sia concessa la metafora: un corpo perfetto e imprevedibile nel difficile e breve viaggio di scrittura che essa esige.
Cosa stai leggendo?
Tra i tanti che sto leggendo: tutte le opere di E.M Cioran, tutte le opere di Antonin Artaud; e infine sto rileggendo La nube purpurea di M.P. Shiel.
Leggo più libri contemporaneamente.
Intervista a cura di Lorena Bruno
@Lorraine_books
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