Mi lega a Mario Desiati un affetto istintivo. Nell’ultimo anno ci siamo lanciati scarsi segnali ma d’altronde Mario frequenta poco i social e, soprattutto, l’Italia privilegiando
L’ossessione del porno, per le attrici-vestali che lo hanno
popolato, la fantasia incandescente che accompagna Martino durante la vita, che
è la fantasia di tutti noi uomini, sia chiaro, servono anche a sezionare un
mondo da bassifondi che conduce Mario, come raramente gli è capitato, lontano
dalla sua Puglia e dentro a una Roma decameronica.
Perché Roma?
«Perché è l’ambientazione perfetta.
Intanto Roma è l’unica metropoli italiana, in cui un uomo di provincia con certe
aspirazioni, anche se fondamentalmente privo di talento, può provare a emergere.
Poi Roma ha questa sua doppia vocazione, spirituale e temporale, dove la trasgressione
e l’effrazione sessuale sembrano difficili ma in realtà ci sono e la rendono la
città dal passato più libertino. Basti pensare a quello che succedeva durante
l’epoca imperiale. Roma ha questo di
stimolante: l’aspetto sessuale resta sottotraccia, sotterraneo, ma poi tutto è
consentito. Posso citare il racconto che mi ha fatto il proprietario di un sexy
shop che ha realizzato affari maggiori durante il giubileo che in altri periodi.
Roma dunque è il territorio di Martino Bux, una persona notturna che la
attraversa come un animale sotterraneo».
Martino Bux somiglia al
protagonista di una fiaba metropolitana
in cui ci sono continui ventri di balena pronti a inghiottirlo perché non ce la
fa proprio a trasformarsi da burattino in bambino per bene.
«Una condizione non infrequente
in molti maschi della mia generazione. In effetti, con Martino siamo a uno stadio ancora antecedente a quello
di Peter Pan. Siamo più vicini a Pinocchio, ma a un Pinocchio con scarse
possibilità di liberazione, un Pinocchio che si lascia trascinare dalle cose
più che provare a farle, che ricerca lo stupore perfino da quarantenne. Tuttavia,
sono questi tratti che me lo hanno fatto scegliere come personaggio portante:
Martino, ammettendolo a se stesso e dicendolo agli altri con candore, vuole
rivivere per sempre ciò che ha ammirato a 18 anni in un film porno durante una scena
di gang bang. Egli stesso somiglia al soggetto passivo di un’ammucchiata, è un
uomo disposto a subire di tutto. E alla fine subisce di tutto».
Devo fare una piccola
digressione: sei riuscito a confrontarti con un tema delicato mantenendoti lungo
il binario tipico della tua scrittura, la delicatezza. Non c’è una pagina del
libro dove la butti in caciara o che induca a considerazioni moralistiche. Cosa
tutt’altro che scontata. Hai detto che l’ossessione
di Martino è il porno. Perché proprio il porno, potevi scegliere, che ne
so, il cinema caucasico oppure David Foster Wallace e avresti potuto restare su
un terreno sempre in bilico tra sanità mentale e squilibrio.
«Perché è un mondo che conosco
bene e da tanto tempo, anche per esperienze di lavoro che mi hanno portato in
contatto con posti trasgressivi. Per cui avevo
in canna questo libro almeno dal 2003, buttavo giù appunti di anno in anno
e a un certo punto mi sono accorto di avere sottomano vari personaggi. Allora ho
dovuto fare una cernita, alcuni li ho cestinati, altri li ho salvati dando loro
tuttavia un peso relativo. Dalla selezione è uscito di prepotenza Martino Bux.
Nel 2013, quando ho cominciato, con compiutezza, a lavorare a “Candore” sapevo su
chi puntare: l’unico dotato, appunto, di candore».
Strano optare per pulizia e
sincerità quando si ha a che fare con pornografia, papponi e locali da quattro
soldi. Potevi scegliere un bastardo,
no?
«Il candore era lo sguardo che mi
affascinava di più, se vuoi che mi somiglia di più. Pensa a come Martino
racconta le donne. Le donne sono volutamente stereotipate, appaiono soltanto
perché è il suo punto di vista a materializzarle, dunque restano personaggi più
bidimensionali rispetto a lui. Martino Bux vede e percepisce la donna alla
maniera angelicata del dolce stilnovo, dove veniva elevata ma privata così di
una serie di qualità. Ogni donna del romanzo per Martino è una divinità che
tuttavia rimanda alle sue vere muse, le attrici porno. Non stiamo parlando dunque di un supereroe, ma di uno guidato da un occhio
malato che, come chiunque, convive con un profondo punto di rottura: che a
lui si è creato nella faglia del pudore. “Candore” vuole provocare disagio in
chi lo legge. In fondo è ciò che cerco anch’io: ovvero libri che mi facciano
sorgere dubbi, non sentire più figo e intelligente senza aggiungere nulla.
Voglio punti oscuri dalla letteratura, l’intrattenimento è un’altra cosa».
Concludo con quella che ad alcuni
è apparsa la grande provocazione del romanzo, ad altri una blasfemia. Parlo
ovviamente del paragone Pasolini -
Siffredi e delle ammucchiate di Rocco come la fedele riedizione dei Pratoni
della Casilina. E se anche qui fosse invece una questione di candore?
«Smitizziamo un po’ questo
passaggio che mi ha fatto divertire a suo tempo, quando l’ho scritto, e che mi
fa divertire adesso quando viene commentato. È Martino Bux a fare questo
parallelo, non Mario Desiati, e a crederci convinto. Per Mario Desiati è un
paradosso, giudicato in maniera più o meno maliziosa da chi scrive e parla di
libri, funzionale al romanzo. A me
piaceva giocare, non provocare, su quell’appunto di “Petrolio” che
richiamerebbe le gesta di Rocco Siffredi e con questo gioco, in termini più
letterari, trovare uno dei tasselli funzionali a edificare l’essenza del
protagonista».
Marco Caneschi
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