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#PagineCritiche - «La loro vita merita di essere ricordata»: il coraggio delle donne, dal ventennio fascista alle votazioni del 1946.

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Le donne silenziose – 1946, il coraggio di vivere
di Claudio Repek
prefazione di Lucia Rossi
Firenze, Clichy, 2017

pp. 240
€ 15,00 (cartaceo)
Sono ragazze silenziose alle quali la famiglia, la scuola e la Chiesa trasmettono soltanto un lungo elenco di doveri. I diritti dovranno conquistarseli da sole. (p. 54)
In Le donne silenziose, Repek disegna un affresco composito e realistico della condizione femminile nella prima metà del Novecento. Attraverso le interviste a diciassette di quelle donne che varcarono la soglia del seggio elettorale nel 1946 – le prime nelle storia – l'autore ricostruisce fedelmente cosa significasse essere donna durante il ventennio fascista prima e la seconda guerra mondiale poi. Grazie alle parole di queste donne coraggiose che hanno visto cambiare il volto dell'Italia possiamo capire davvero la portata storica della conquista del diritto di voto.
Giulia Nocchi, nata nel 1921 in una famiglia mezzadrile pisana e diventata poi dirigente dell'Udi e del Pci, ricorda così il rapporto tra uomo e donna nella sua casa: «nell'atteggiamento degli uomini verso le donne, anche negli scherzi, c'era sempre una punta di denigrazione. Si tendeva a dimostrare in ogni occasione che le donne non contavano nulla, salvo poi a darle la colpa di tutto ciò che non filava alla perfezione. […] Se noi ragazze avevamo poca libertà, le donne sposate erano addirittura schiave. Erano le prime ad alzarsi al mattino e le ultime ad andare a letto la sera. Dopo mangiato gli uomini si riposavano, mentre le donne mettevano in ordine la cucina». (p. 35)
Tale subordinazione era legittimata non solo dalla società e dallo Stato, ma anche dalla Chiesa: dopo la celebrazione del matrimonio, infatti, il sacerdote consegnava agli sposi una copia dell'enciclica papale Casti Connubii (1930), redatta da papa Pio XI, in cui si metteva nero su bianco la superiorità dell'uomo alla donna e la sottomissione di quest'ultima al marito: «Attraverso la dedizione alla casa e alla famiglia, espressa sempre con modestia e umiltà, le donne potevano aspirare alla “santità”». (p. 37) Tale abnegazione era poi richiamata e rafforzata dal regime, il quale dettava legge anche in merito alla procreazione: la riproduzione era un dovere, che si esplicitava nei confronti dello Stato, per fornire maschi adatti all'esercizio delle funzioni militari fasciste. Silenziose, sottomesse, dedite alla famiglia, buone madri e mogli esemplari. La donna non poteva aspirare ad un lavoro, né allo svolgimento di un passatempo ricreativo. Neppure i trucchi erano ammessi, così come si rischiava una multa salata ad indossare un paio di pantaloni:
Il trucco, che era ovviamente riservato alle signore ricche o comunque benestanti, non era ben visto né dalla Chiesa né dallo Stato: «alle ragazze era consentita un po' di crema Nivea e di burro di cacao sulle labbra, le signore passavano un filo di rossetto e un velo di cipria profumata. […] Quelle che sfuggivano a queste regole, le ragazze che si depilavano le sopracciglia, si tingevano la bocca si laccavano le unghie o si ossigenavano i capelli, erano oggetto di generale riprovazione». (M. Mafai, Pane nero, citato a p. 135)
Il Corriere della Sera riferisce che il Pretore di Novi ha multato per 350 lire una ragazza sorpresa a correre con pantaloni corti in un campo sportivo e a 200 lire una tranquilla signorina di 50 anni che nel cortile di casa indossava un paio di pantaloni lunghi. (p. 137)
Anche lo studio era andato incontro a pesanti restrizioni: le bambine degli anni Venti del Novecento, infatti, frequentavano, in media, dai tre ai cinque anni di scuola e l'istruzione era considerato un diritto tutto maschile. Le bambine dovevano giusto imparare le competenze essenziali: leggere, scrivere e far di conto. Il regime fascista coinvolgerà anche l'istituzione scolastica, poiché essa diventerà il principale strumento attraverso il quale trasmettere il credo dell'ideologia fascista. E non solo: il regime attuerà una serie di misure mirate alla restrizione del lavoro femminile:
Il regime fascista, nel nome della funzione riproduttiva e di cura della famiglia che giudica propria delle donne, tenta di limitare anche dal punto di vista giuridico la loro possibilità di lavorare fuori casa. «Nel maggio 1923 e nel dicembre 1926 escluse le donne dai concorsi per preside o insegnante in alcune categorie di scuole superiori. Dal marzo 1928 fu data la priorità ai maschi capofamiglia nei concorsi statali, sia per le assunzioni sia per gli avanzamenti di carriera». (P. Ginsborg, Famiglia Novecento, citato a p. 61)
Con l'entrata in guerra dell'Italia, gli uomini partono per la guerra e le «donne silenziose» sono costrette ad occuparsi anche degli impegni lavorativi. Alcune di loro si ritaglieranno un ruolo – fondamentale – nella vicenda partigiana, entrando a far parte della schiera di ragazze e ragazzi che libereranno l'Italia.
Il libro di Repek ci porta, attraverso le parole e le storie delle protagoniste, sul luogo dei paesi sconvolti dalla guerra e decimati dalla fame, e ci racconta la quotidianità di queste ragazze entrate nella storia. Queste donne, i cui nomi e i cui volti spesso non sono passati alla storia, hanno contribuito alla rinascita di una Nazione, anche attraverso quell'entrata nella cabina elettorale, il 2 giugno del 1946: «Le donne risposero all'appello: in 14 milioni andarono a votare». (p. 166) Un passo al quale si presentano emozionate, anche un po' impreparate e spesso con i tasca i consigli di padri e fratelli:
Olga Pellegrini Belloni: «la prima volta che l'ho fatto ricordo che il seggio era all'ospedale di Pieve Santo Stefano. Avevo la tremarella alle gambe per paura di sbagliare. Chiesi a mio fratello come si doveva fare. E ricordo che per noi donne fu veramente una grande conquista». (Intervista a Olga Pellegrini Belloni, Arezzo, 30 giugno 2016)
Questo libro ci regala una grandissima testimonianza di cosa volesse dire essere donna nei primi anni del Novecento, un ricordo delle battaglie combattute e delle sofferenze patite, una grande testimonianza della forza che le ha spinte a sopravvivere agli anni peggiori del Novecento:
Sono nate quando essere bambine voleva dire essere semplicemente donne più piccole. Una lunga lista di doveri: aiutare in casa, imparare a cucire per la famiglia, badare a galline, pecore e maiali, andare a lavorare ad appena 12 anni in famiglie lontane e sconosciute. Una cortissima lista di diritti e di opportunità: tre o cinque di scuola elementare e nessuna memoria dei giochi dell'infanzia. […] Hanno fatto tutto questo con la schiena dritta. Le donne che qui hanno raccontato le loro storie non hanno mai usato la leva del compatimento. […] Lo hanno fatto con rassegnazione, cioè con la straordinaria maturità che nessun libro ma solo una vita difficile può insegnare: sono cadute infinite volte e infinite volte si sono rialzate. Da sole, con la certezza che nessuno le avrebbe aiutate. Sono silenziose, donne straordinarie. (p. 198)
Valentina Zinnà