La scabra poesia del quotidiano in un quartiere di Palermo

Borgo vecchio
di Giosuè Calaciura
Sellerio, 2017

pp. 134
€ 14 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Immaginate che a presentarvi un quartiere di Palermo come ce ne sono tanti, tra violenze quotidiane e incredibili poesie del quotidiano, ci siano personaggi indimenticabili, incandescenti a furia di frizionare la propria pelle contro le asperità della vita. Immaginate che siano proprio loro ad aprire le finestre delle proprie case per farvi spiare e, da lì, ascoltare cosa sta succedendo attorno. Non c'è alcun impero delle luci nel nuovo Borgo Vecchio di Giosuè Calaciura, ma le ombre che si nascondono nella vita solo apparentemente privata dei protagonisti. 

Benché all'inizio del romanzo breve si creda di osservare il Borgo attraverso gli occhi del piccolo Mimmo, presto una coralità di personaggi prende vita, tra una viuzza e l'altra del quartiere. Ci sono i più piccoli, depositari di speranza per il futuro, ma anche precocemente maturi in un presente che non lascia scampo a nessuno, neanche alle illusioni: così alla sera risuonano le grida e i lamenti del piccolo Cristofaro, che subisce le percosse del padre ubriaco; o ancora, la giovanissima Celeste si chiude a fare i compiti sul balcone, sapendo che dietro gli scuri chiusi sua madre Carmela sta lavorando con uomini che vogliono sperimentare il suo Paradiso, almeno per un po'. Ma non c'è moralismo sterile, né cupa accondiscendenza: tutti sanno che Carmela non sa chi sia il padre di Celeste, ma poco conta: è stata lei, con i suoi sacrifici, a crescere questa ragazzina, che non ha ereditato la bellezza sconvolgente della madre, ma senza dubbio ha ancora possibilità di salvarsi. Da che cosa? Nessuno lo sa esattamente. Anche la giustizia, nel Borgo Vecchio, viene riportata a suon di coltelli e pistole, ma non certo da parte delle forze dell'ordine, timorose d'avventurarsi nel quartiere. Perché se gli abitanti del borgo coltivano odî, risentimenti, invidie, nel momento del bisogno sanno allearsi contro il nemico comune delle divise. E tutto il quartiere, animali compresi, partecipa alla rivolta armata con frutti, bottiglie, rifiuti, in un'unica devastante pioggia che intima ai poliziotti di tornarsene in caserma. 
È in questo ambiente, in cui trionfa la filosofia del cavarsela sempre e comunque, che si muovono i personaggi, che non hanno niente di preconfezionato, ma molto di indimenticabile. Così il ladro Totò, famoso per i suoi scippi velocissimi, è una sorta di eroe del quartiere: Mimmo lo vorrebbe per padre, mentre Cristofaro spera di raccogliere un giorno i soldi sufficienti per chiedere a Totò di liberarlo dal padre; Celeste, invece, rischia di avere davvero Totò per padre, visti i sentimenti che Carmela nutre per lui.

È un quartiere che riesce a ravvivare i muri scoloriti delle case con tutta la gamma cromatica di sentimenti forti e violentemente accesi. Quando pare che un evento sia solo drammaticamente negativo, ecco che appare una mezza-tinta di speranza, il senso dell'onore rimescola il torbido e lascia intravedere un colore pieno di dignità. Così la professione di Celeste non ha niente di peccaminoso, né c'è della blasfemia nella Madonna appesa sopra il suo letto, a cui la donna si rivolge con sincera devozione. Giusto e sbagliato sono categorie che vengono continuamente rimesse in discussione, sebbene i valori più autentici siano quelli ricordati dai bambini e dagli animali, come il cavallo Nanà, che nella sua lingua non umana suggerisce a Mimmo quanta violenza possa nascondersi in una gara di corsa e lascia che siano i suoi occhi pietosi a trovare quelli delle vittime del Borgo.

In una lingua deliziosamente ricercata, che accarezza la scabra poesia della vita nel quartiere, scandisce la sua sfida quotidiana e si confronta col sacrificio di una crudeltà a tratti insopprimibile, Borgo Vecchio si afferma come una bellissima prova di scrittura. Nelle sue descrizioni, lo sguardo ora pietoso ora crudo di chi abbraccia tutto del quartiere, anche le sue ossa stanche di pallottole, eppure invitte.

GMGhioni