La natura del bastardo
di Davide Rondoni
Mondadori, 2016
(collana Lo Specchio)
pp. 142
€ 18,00 (cartaceo)
Devi essere pronto a uscire dalla tua ‘cameretta-porto’ per confrontarti, corpo a corpo, come un pugile suonato che le prende e le dà in eguale misura, con ciò che la realtà ti mette davanti agli occhi, nella sua bellezza e crudezza, nella sua miseria e nel suo splendore. In altre parole, devi mettere il tuo ‘io’ al servizio di una potenza più grande, demone o altro, proprio come fa Dante nella Commedia, perché sia possibile fare esperienza viva di ciò che Luzi chiamava 'maestà del mondo'. Questo è quanto ha sempre perseguito la poesia di Davide Rondoni, incapace, per sua “natura”, di compromessi à la page, rasentando sempre l’abisso, la caduta, il fallimento, perché la sua scrittura non conosce altri modi, altre forme di traboccare da- e in questo amore che si pone al confine della parola. "Sei un amore perché sei / un racconto" si legge quasi a conclusione de La natura del bastardo (Mondadori, 2016), l’ultima pubblicazione del poeta forlivese che non viene meno a questa sua ‘vocazione’ e in cui, già dal titolo, la messa a fuoco del reale non fa sconti a un lettore magari avvezzo alla levigata ed esteticamente riuscita politeness di tanta recente poesia nostrana.
Si diceva di Dante, dunque, capostipite di quel ‘volgare’ (leggi: imbastardimento linguistico del latino) da cui discende il nostro illustre idioma, che qui viene richiamato per la sua impresa, al limite dell’umano, di incarnare la sua esperienza – che poi, a ben vedere, sarebbe il viaggio ‘di nostra vita’ – in una lingua davvero poetica poiché non teme di piegare le leggi della grammatica e della ‘rettorica’ pur di dire e quindi di fare accadere realmente l’incontro con l’Altro: “Tu dici: intuarsi è segno / dell’impossibile // e io mormoro con occhi da killer innamorato: / immiati, non restare lì nel / dove non sei qui // perché vedi è impossibile tutto // […] / Io mi intuo come tu ti immii // nella commedia umana e celeste / […] / immiati, m’intuo e // spegni la luce che vediamo nella notte / sorgere la città” (Tu dici). La sgrammaticatura, allora, intesa come dinamicità della lingua e imbastardimento del ‘bello stile’ è la vera “natura” – sempre in moto, sempre creante – che il poeta ha a disposizione: “solo un impazzito / d’amore poteva senza potere più nulla, più nulla / inventare queste parole” (Ib.), commenta Rondoni specchiandosi in Dante.
E Rondoni, “bastardo trovatore”, nei suoi vagabondaggi folli ad ogni ora del giorno e della notte in ogni angolo di una bellissima e ferita Italia, nelle sue peregrinazioni quotidiane così come nei jet leg, negli spostamenti in treno o in aereo che non risparmiano i dettagli più crudi dell’esperienza umana, si dimostra certamente all'altezza del Maestro trecentesco: “ama senza disperare / ama con dolore, / bastardo trovatore, ama / per non meno di questo avviso di splendore” (L’isola da lontano…); “ho detto al mio cuore: ora spera, bestia / spera” (Notizie, altre apparizioni).
Solo ‘contaminandosi’, impastando le mani, gli occhi e il cuore in una realtà di modelle anoressiche e carcerati obesi, di mendicanti “dipinti nello schifo e nella luce”, di una paternità che come un “povero girasole” in bilico fiorisce in una “casa sui crinali”, si può provare, inchiodata nella carne, “ancora tua via / della passione, Dio così devastato, uomo / abbandonato, croce” (Inchiodato), ovvero il “micidiale snaturamento” di Dio che, come ci ricorda il vangelo giovanneo, si imbastardisce in nome di uno smisurato amore: “il Verbo, sorride, viene da profondo / del cielo e della natura, stupisce i vivai / della comete, le piogge bianche del sole / e si fa carne, ama da morire, ha un volto / un volto… imbastardisce pure lui…” (Dio non è lontananza).
Sondata e rivelata la vera “natura del bastardo”, cioè un essere incondizionato per l’Altro (“bello averti incontrato / tu quel Dio l’avevi in faccia, me l’hai lasciato addosso”), appare dunque evidente il substrato religioso e, nello specifico, cristiano su cui poggia la scrittura poetica di Rondoni. Tuttavia non si avverte mai nei suoi testi una quiete consolatoria che spezza l’alto voltaggio di una tensione che sempre vuole dire (cioè ri-creare, fare accadere) ogni aspetto della creazione – sempre in atto, come ci dicono alcuni teologi –, affinché la salvezza non escluda proprio nessuno, neppure le moltitudini senza nome “che hanno abitato il creato / come passeri e bambini”.
Se il reale è dunque in perenne divenire, è natura nel senso etimologico del participio futuro latino (‘che sta sempre per nascere’), o, come suggerisce il poeta in più di una occasione (ad esempio nella bellissima Supplica al Satiro dagli occhi d’oro di Mazara del Vallo), danza magnifica e ininterrotta, nietzschiana follia di astri danzanti, all'io delle poesie di Rondoni non resta che affacciarsi dal punto finale “del non sapere più nulla // il silenzio della mente riservato a chi balla così / a chi ascende al cielo – e a chi va / sotto e poi sotto, tra i denti una dura / felicità” (A Svetlana Zakarova). Da quel confine, da quel crinale, i suoi “occhi da killer innamorato” – perché, si sa, ai poeti “si incendiano gli occhi così, solo ad ascoltare” gli altri – possono solo fermare, mai ‘freddare’, sul supporto labile di una pagina, un istante di quel coro immenso che è, in definitiva, l’amore; questo amore che ci portiamo addosso come la più meravigliosa delle condanne: “sempre canta | lui bastardo, perfetto”.
Pietro Russo
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