di Eva Cantarella
Feltrinelli, 2015
pp. 187
€ 9 (cartaceo)
Quando ho parlato della dea Tacita Muta in classe, per la prima volta, i ragazzi sono scoppiati a ridere. Certo, nel 2017 ha dell'incredibile pensare a una dea infera che veniva adorata dalle matrone romane perché rendesse le donne silenziose e docili. E, inutile aggiungerlo, quando ho ripetuto il detto di Sofocle secondo il quale "alla donna il silenzio reca grazia", un'altra risata è scoppiata sonora e accompagnata da piccole gomitate. Poi, invece, è arrivato l'amore per la figura di Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco, ma soprattutto donna piena di velleità, con ambizioni accese e mai paghe, esperta di prodigi e quasi mitica, nella ricostruzione romana. Invece, le donne sabine e la vicenda della ragazza di Ardea hanno lasciato quasi indifferenti gli studenti di oggi, nonostante le prime (forse 683?) fossero state rapite per il matrimonio e la seconda fosse al centro di una contesa tra un pretendente patrizio e un plebeo e per lei fosse scoppiata una guerra. Molto più interessanti le amazzoni italiche, come Camilla e Clelia, anche loro sottoposte a riti di passaggio come gli uomini!
Anche l'età arcaica di Roma, con storie di grandi donne esemplari, non prometteva grande entusiasmo: temevo che il modello di donna volta al sacrificio (sempre stando muta o parlando il meno possibile) fosse troppo lontano dalla mentalità odierna, come nel caso di Lucrezia, "la moglie" per eccellenza, che ha preferito darsi la morte piuttosto che sopravvivere allo stupro con disonore. O che Orazia, uccisa per il disonore di aver pianto pubblicamente (anche se silenziosamente) il fidanzato ucciso dal fratello di lei, non destasse alcun moto di empatia. Invece, sia Lucrezia, sia Orazia, sia Virginia, uccisa dal padre per non finire sposa di un decemviro voglioso e turpe, hanno generato diffusi sussurri di compassione.
Sarà che le storie che ha scelto Eva Cantarella sono veramente emblematiche e non possono che stupire e stimolare l'immaginazione del lettore, tra citazioni e aneddoti. Poi, certo, il racconto delle regole giuridiche, con particolare attenzione al matrimonio e a tutti i suoi rituali, hanno appassionato, come anche la gestione di certi processi contro le donne accusate di impudicizia e di essere delle avvelenatrici.
Ma è stata soprattutto la terza sezione del libro, quella dedicata all'emancipazione della donna romana a partire dal II secolo a.C. a generare veri e propri dibattiti. Sono gli esempi coraggiosi e inattesi delle donne in piazza o in tribunale, o della ribelle per eccellenza, la Clodia-Lesbia di catulliana memoria, o ancora le poche ma evocative poesie dell'unica poetessa romana, Sulpicia, a far avvertire un profondo senso di riscossa.
A quel punto è stato inutile raccontare ai ragazzi che si trattava comunque di casi rari: l'esemplarità e la forza di queste testimonianze è bastata a mostrare come la figura femminile, dall'epoca pre-romana fino a quella imperiale ha attraversato tappe di cambiamento notevolissimo. E sono le grandi storie di donne tanto diverse dalla norma, oppure esemplari di queste, a darci un'idea delle sfaccettature ben più imprevedibili rispetto all'inevitabile appiattimento del libro di testo scolastico.
Un bel saggio, piacevole e leggibile come un romanzo, ma preciso e con un'utile bibliografia per approfondimenti.
GMGhioni
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