L'arte
dei giardini
Una
breve storia
di
Pierre Grimal
Feltrinelli, 2014
Trad.
italiana di Marina Magi
pp.
107
€
10
“Il giardino è per eccellenza il regno dell'illusione teatrale, delle leggi accuratamente calcolate. Ma geometria e ragione non sono fine a loro stesse: sono solamente al servizio di un'arte il cui scopo rimangono la fantasia e il fantastico.”
Più
che una breve storia, un saggio. Un saggio che risulta poco prolisso
per essere un manuale di architettura e troppo tecnico per essere una
semplice “breve storia”. Tuttavia si tratta dell'unica opera
esistente interamente dedicata al culto e allo studio dei giardini
dall'antichità all'Ottocento.
Colui
che si è addentrato in questa sfida letteraria -vinta- è Pierre
Grimal, un filologo francese che accettò di far tradurre il manuale,
pubblicato nella sua lingua madre nel 1987, anche in lingua italiana.
A proporglielo fu ai tempi una neolaureata in architettura, Marina
Magi, che si occupò interamente della traduzione, stampa e
diffusione del manuale. E si può certamente dire che anche lei abbia
vinto la sua ambiziosa quanto pregiata sfida.
“Grimal non era uno storico dell'arte, né un architetto, né un botanico, bensì un archeologo, un filologo, uno studioso erudito ma brillante e vivace, attento ai piccoli segni che portano ai grandi cambiamenti.Scoprii così, consultando le bibliografie, anche questo libro che risaliva agli anni della sua laurea.” (Marina Magi)
Grimal,
Cicerone d'eccezione, ci invita a seguirlo metaforicamente per sei
tappe che si distinguono per luoghi e per tempo. A sussurrarci le
direzioni giuste, il prezioso lavoro di traduzione di Marina Magi. Le
sei mete letterarie prevedono: i giardini nell'antichità; l'eredità
del giardino antico in Oriente; l'eredità occidentale del giardino
antico, il giardino medievale; il giardino classico; il giardino
pittoresco; i giardini della Cina e del Giappone. Per Grimal elevata
importanza è rivestita dal ruolo e dal carattere dei giardini ideati
e creati nel corso dei secoli e dei periodi storici (antichità,
Medioevo, Classico, Rinascimento fino ad arrivare ai giardini zen
giapponesi). Per il ruolo, evidenzia con note di delusione l'uso
degli spazi aperti con scarsa cura e progettazione, per lo più come
ambienti per coltivare piante, arbusti, alberi. Da qui si ricava un
uso utilitaristico dell'ambiente che poco richiama le immagini
romantiche di estrema bellezza che invece sono, suggerisce lo
scrittore, un punto di arrivo massimo dell'arte presa in esame.
Questo utilizzo poco curato ha vita prospera dall'antichità sino ai
primi del Rinascimento, quando finalmente al centro dell'attenzione
cadrà la bellezza, la struttura e la progettazione di uno spazio
incantevole. Spazio che sia sfruttato per scopi religiosi,
commemorativi, di raccoglimento o con semplicità per rilassarsi, lo
si scopre dalle lunghe e certosine testimonianze di volta in volta
riportate e commentate da Grimal, con la significativa -quanto
identificativa- visione e precisione di un filologo/archeologo. Il
cuore del libro è composto da una ventina di immagini a colori in
cui vengono illustrati i giardini più famosi e complessi della
storia.
La
prima tappa è una delle più curiose e cariche di fascino, ossia
quella dedicata all'antichità con l'analisi della Mesopotamia e
l'esigenza della sua popolazione di piantare determinati alberi da
frutto. Ma è ancora prematuro tuttavia parlare di “arte dei
giardini”, si tratta prevalentemente di “giardini botanici”.
“Per un paradosso singolare, i giardini più antichi che noi possiamo intravvedere furono piantati in mezzo ai deserti come se gli uomini non avessero cominciato ad attribuire qualche pregio a quest'arte se non in paesi le cui condizioni naturali sembrava dovessero bandirli per sempre. Più di tremila anni prima della nostra era, gli abitanti della Mesopotamia giunsero dopo grandi sforzi ad acclimatare le palme e contemporaneamente a rendere coltivabile la terra del delta, fino ad allora sterile.”
Si
passa poi per le prime tracce concrete e resoconti attendibili
dell'esistenza, nonché della progettazione del parco richiesto dal
conquistatore Sargon II. Siamo alla fine dell'VIII secolo e sembra
addirittura che il parco richiamasse una qualche forma di paradiso
verde. Grimal, è bene ribadire, era un filologo, dunque i suoi
scritti e le sue ricerche si basano e trovano sicure fondamenta su archivi ufficiali che attestino la creazione e l'opera volontaria,
artificiale e quindi umana di un giardino. É
lo stesso conquistatore infatti che lascia le prove scritte – e le
descrizioni- del parco. Dalla Mesopotamia all'Egitto,
sino all'antica Grecia: luoghi e sopratutto ere in cui non compariva
ancora l'ideologia attuale del giardino come fonte primaria di
bellezza, di sofisticata architettura, di luogo necessario per far rilassare la
mente umana.
“Gli antichi giardini di Alcinoo, evocati da Omero, non erano altro che un frutteto magico, meravigliosamente fecondo, la lontana dimora di Calipso una villa divina provvista di tutte le grazie immaginabili, ma irreale. Nella realtà il giardino greco rimaneva soprattutto, fino all'epoca classica, un giardino sacro, piantato vicino a qualche santuario consacrato ad una divinità della fecondità. Non gli si chiedeva di essere bello. I Greci cercavano la bellezza altrove.”
Differente
discorso viene affrontato per quanto concerne i giardini romani:
nell'Antica Roma le case adeguavano uno spazio all'aperto in cui si
possono intravvedere ancora oggi nelle descrizioni e in alcuni
reperti (per esempio negli scavi di Pompei) cenni, pretesti, segni di
architettura e dunque il grande desiderio romano di possedere
terrazze e angoli verdi come giardini.
“Così, per la molteplicità dei suoi aspetti, il giardino romano è, a partire dal I secolo della nostra era, preparato a fornire ai secoli futuri gli elementi di un'arte sempre rinnovata.”
La
complessità, le trappole -basti pensare ai labirinti- e infine il
lato lugubre dei giardini medievali risulta prevedibile e ben più
noto, il cui scopo era quello più di utilità, di protezione e di
difesa, più un luogo per spaventare il nemico e dunque ancora una
volta, siamo lontani dalla grande ricerca di bellezza nell'ambiente
all'aria aperta. Soltanto nel tardo Medioevo ricompare l'antica
necessità di sfruttare lo spazio per coltivare piante rare o
necessarie (furono sperimentati innesti, dunque nuove piante create
dall'uomo). Si giunge al giardino classico che non coincide tuttavia
con il Rinascimento: infatti non vi era l'impellenza di mutare le
caratteristiche e le strutture medievali consolidate.
“La creazione del giardino classico comincia con il Rinascimento italiano: il fatto è innegabile, ma sarebbe inesatto immaginare che l'arte del giardino conobbe allora una vera rivoluzione, e che una nuova estetica fu costruita dal nulla.”
Dove,
se non in Italia, per la precisione a Firenze, si devono cercare
dunque le tracce del nuovo giardino classico? Siamo nel XVI secolo,
anni in cui Firenze è considerata la capitale della pittura e manco
a dirlo, del giardino. Grimal individua qualche sentore di
cambiamento nel Decameron di Boccaccio, quando viene descritto con
cura e minuzia uno spazio verde. Le caratteristiche tecniche
richiamano quelle tipicamente medievali, ma l'attenzione e le
minuziose descrizioni dello scrittore toscano faranno da trampolino
per coltivare l'intenzione di voler realizzare qualcos'altro,
qualcosa di bello. Le fontane e le statue per esempio, sono e
rimangono, secondo l'autore, un richiamo al Medioevo, specie quando almeno le seconde assumono valore religioso. Il filologo menziona e
analizza anche le descrizioni fornite da Tasso nella Gerusalemme
liberata.
Il
primo vero lavoro architettonico riconosciuto da Grimal risale al
1503 progettato da Bramante per il Giardino del Belvedere in Vaticano
che nel libro descrive così:
“la sensualità e le gioie orgiastiche del giardino antico sono ormai purificate, come presto romanzieri e autori di tragedie classiche andranno a purificare la pittura delle passioni. Con il giardino di Armida comincia la preziosità ed è l'arte dei giardini che, senza discontinuità, collega le gentilezze dei trovatori alle grazie leziose dell'Astrea o di Quinault. L'impresa degli architetti e della geometria sui giardini, percepibile nel Sogno di Polifilo, non tardò a tradursi nella realtà. É al progetto elaborato da Bramante nel 1503 per il Giardino del Belvedere in Vaticano che risale il primo parco creato secondo un progetto architettonico. Il problema che Bramante si trovava ad affrontare consisteva nel dover unire con un giardino il palazzo del Vaticano alla terrazza del Belvedere.”
L'arte
dei giardini: un excursus rapido ma certamente mai superficiale, a
tratti complicato per i non addetti ai lavori, ma sicuramente
consigliato a tutti gli studenti di architettura. Non va considerato
come un leggero bignami che si può leggere senza attenzione o
peggio, come un manualetto per chiunque abbia il pollice verde, ancor
meno come una “breve storia”: rischiereste di prendere in
antipatia un saggio che offre di gran lunga importantissimi spunti e
stimoli per chiunque sappia coglierli e apprezzarli. E per questa
piccola e preziosa pubblicazione occorre ringraziare oltre
all'autore Pierre Grimal, anche -e soprattutto- Marina Magi che ebbe
l'intuizione giusta sull'importanza di tradurlo nella nostra lingua,
lungimiranza che oggi -si presume- le dia ancora grandissime
soddisfazioni.
Alessandra
Liscia