Wabi-Sabi per artisti,
designer, poeti e filosofi
di
Leonard Koren
Ponte
alle Grazie, 2015
Traduzione
di Guido Calza
1^edizione:
marzo 2002
pp.
92
€ 13,50
(cartaceo)
Wabi-Sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee e incompiute. E' la bellezza delle cose umili e modeste. E' la bellezza delle cose insolite.
Spiegare
la filosofia Wabi-Sabi è un impresa complessa anche per l'autore del
libro Leonard Koren. I giapponesi stessi formulano affermazioni
nebulose non appena viene posta loro la domanda su che cosa venga
inteso esattamente con i due caratteri che ne identificano la
corrente filosofica. La nebulosità appartiene al Wabi-Sabi stesso,
elogio dell'imperfezione, dell'inafferrabilità e della decadenza
naturale. Un fiore che appassisce dopo pochissimi giorni incarna la
bellezza Wabi-Sabi, il fenomeno dell'hanami, ossia la rinomata
osservazione della fioritura dei fiori di ciliegio -sakura- è per
eccellenza un fenomeno di questa corrente o ancora l'arte del tè e la
creazione di un vaso che nasce con una crepa. O ancora, un esempio di
wabi-sabi spontaneo: il particolare della facciata del Bombay Cafè e
dell'emporio Okura (Daikanyama, Tokio), fatta con legni trasportati
dal mare, lamiere riciclate e gesso. Sono solo alcuni esempi pratici
di una filosofia assai complessa e ricercata, tipicamente orientale,
che trova fondamento nell'antica pratica buddista zen. Leonard Koren
nel manuale preso in esame si sforza di spiegarla e di farla
comprendere a noi “occidentali”, ma soltanto chi ha già
un'infarinatura iniziale è in grado di seguire i concetti e gli
aneddoti narrati tra le pagine scritte con il carattere informatico
definito a livello mondiale il più brutto di sempre, il Comic Sans.
Certamente una scelta voluta e ricercata. Anch'essa si deduce, possa
rientrare appieno nel quadro della filosofia qui analizzata.
Certi critici giapponesi ritengono che il wabi-sabi debba mantenere le sue qualità misteriose, sfuggenti, difficilmente definibili perché l'ineffabilità è una sua caratteristica peculiare. […] Da questo punto di vista, la conoscenza mancante o indefinibile è soltanto un altro aspetto dell'”incompiutezza” intrinseca del wabi-sabi.
Con
grande sforzo e con vaga attinenza, i due caratteri giapponesi
possono essere tradotti con l'espressione “bellezza triste”. Ma
va evidenziato che è soltanto dal XIV secolo che i due caratteri
sono stati riconosciuti con accezione più melodica e positiva,
lasciandosi alle spalle il connubio tra solitudine e disagio -wabi-
in stretto rapporto con scarno e freddo -sabi-. E, sempre con
vaghezza, l'autore oggi collega al moto estetico il termine inglese
“rustic” in riferimento agli oggetti semplici, “rustici”
appunto, ruvidi e irregolari, non artefatti e non costruiti a
tavolino con orpelli di lusso.
Va riconosciuto che apprezzare la bellezza del Wabi-Sabi non è cosa alla portata di tutti, ma credo sia nell'interesse comune impedire al wabi-sabi di scomparire completamente. Il pluralismo culturale è una forma di ecologia certamente auspicabile, per fronteggiare la tendenza incalzante verso l'appiattimento digitale di tutte le esperienze sensoriali, in cui un lettore elettronico si frappone fra l'esperienza stessa e l'osservatore, e ogni manifestazione è codificata nella stessa identica maniera. […] In Giappone, dunque, impedire l'estinzione di un universo di bellezza non significa soltanto preservare, anche se con un grave ritardo, determinati oggetti o edifici, ma soprattutto mantenere viva un'idea estetica in tutte le sue espressioni. E poiché non è possibile ridurre il wabi-sabi a formule o slogan senza distruggerne l'essenza, la sua salvaguardia si prospetta un'impresa non facile.
L'autore
narra del suo primo approccio con l'universo Wabi-Sabi, avvenuto
negli anni Sessanta, quando cercava una via di fuga dalla bellezza
imperante imposta dalla società europea e in forma minore, negli
Stati Uniti. Le sue ricerche presero il via dalle domande esplicite
poste ad alcuni intellettuali del Sol Levante e successivamente dalla
lettura di alcuni manuali, la maggior parte dedicati alla pratica del
tè. Koren, dopo tanto cercare, giunge alla conclusione che trovare
le parole giuste per descrivere e far comprendere l'estetica
dell'imperfezione equivarrebbe a sminuirla e a mortificare il
Wabi-Sabi stesso. La sua inafferrabilità appartiene allo stile
stesso dell'estetica esaminata e spiegarla al meglio rendendola
chiara e lapalissiana sarebbe come sminuirla dato che “in campo
estetico, la ragione è quasi sempre subordinata alla percezione”.
Il Wabi-Sabi incarna nella sua complessità anche uno stile di vita
che trova massima espressione nella semplicità della vita e nel suo
ideale.
Il wabi-sabi mi parve un paradigma estetico fondato sulla natura, capace di restituire all'arte di vivere una certa dose di saggezza e di equilibrio. Era la soluzione al mio dilemma artistico sulla maniera di produrre cose belle senza cadere nel deprimente materialismo che in genere pervade questo genere di attività creative. Il wabi-sabi è profondo, multiforme e sfuggente: sembrava l'antidoto perfetto all'idea di bellezza imperante -così fasulla, stucchevole e istituzionale- che a mio parere stava anestetizzando la società americana. Da allora sono giunto alla conclusione che il wabi-sabi ha un legame con molti dei movimenti antiestetizzanti più radicali che invariabilmente nascono dagli spiriti giovani, moderni e creativi: il beat, il punk, il grunge, o come si chiamerà il prossimo.
E'
una forma di estetica inversa con i propri valori, infatti tutto ha
origine dall'osservazione certosina della natura tenendo ben presenti
alcuni assiomi importanti, peculiari del wabi-sabi: tutte le cose
sono temporanee, tutte le cose sono imperfette, tutte le cose sono
incompiute, da ciò che è brutto si può ottenere il bello, i
dettagli trascurati o poco appariscenti possiedono una loro
grandezza.
Lo
stile wabi-sabi è importante perché sempre più negli ultimi anni è
stato declinato nelle forme d'arte più disparate: dalle opere
artigianali, alle creazioni industriali, sino all'architettura e
arredo. Un lavoro peculiare e rappresentativo è identificato nel
vaso di terracotta che, una volta modellato e asciutto, presenta
delle filettature laterali, le quali vengono impreziosite e
valorizzate, se non addirittura enfatizzate da un filo d'oro che
palesa la crepa. Nei tempi moderni molti artisti e designer hanno
fatto propria la filosofia dell'imperfezione, volendo valorizzare
l'aspetto imprevedibile che deriva per propria natura dall'atto
amorevole del creare. Valido persino nel fatto a mano, nel più
comune handmade.
Così la semplicità meno allettante divenne la premessa per un nuovo genere di bellezza, nuova e pura.
Per
noi occidentali tutto passa per la via dell'accettazione. In Oriente,
nello specifico in Giappone, l'accettazione è il presupposto, un
processo che non avviene in quanto si parte dal livello successivo,
ossia dall'identificazione e dalla pratica mentale verso la
questione. Una creazione che nasce imperfetta non viene posta sotto
l'analisi attento dell'accettazione, poiché c'è, ed è quindi da
apprezzare. I difetti ne aumentano il valore, senza doverli
sottoporre alla razionalizzazione. Ci sono, di conseguenza sono
accettati perché esistono e sono pregni di valore. Sono speciali,
diremo noi. I giapponesi invece lavorano sulla disposizione d'animo
nei confronti della faccenda (che essa sia un oggetto, una situazione
o una costruzione).
Anche alcuni suoni comuni suggeriscono la sensazione di malinconica bellezza del wabi-sabi: il mesto gracchiare dei corvi e i gridi dei gabbiani, il desolato mugghiare delle sirene da nebbia, l'eco di un'ambulanza fra i canyon di palazzi in una grande città.
Si
tratta dunque di un libro consigliato? Certo, a patto che non si sia
a completo digiuno dell'argomento trattato, pena un'ulteriore
incomprensione nei confronti di una tematica già di partenza
affascinante ma astratta, nebulosa e complessa.
Alessandra
Liscia