La contessa di ricotta
di Milena Agus
Nottetempo, 2009
pp. 127
€ 13,50
È talmente indovinata, la copertina di La contessa di ricotta, che anche solo attraverso la sua descrizione è possibile rimandare, simbolicamente e non, a certe precise psicologie e alle migliori atmosfere di questo romanzo di Milena Agus. Nella tazzina di fine porcellana bianca a fiori bordata in filo d’argento, che si rovescia lasciando tracimare il suo contenuto sul piattino abbinato e sul piano d’appoggio, c’è tutta l’impotente nostalgia delle tre protagoniste per la dolcezza del vivere dei bei tempi che furono, e c’è anche il loro maldestro e speranzoso tentativo di adattarsi come possibile alle asprezze del presente. Senza contare che in questa storia c’è davvero qualcuno che colleziona preziose stoviglie di comprovata appartenenza nobiliare, e nemmeno manca chi le manda in frantumi per dispetto e chi, invece, anche se volesse proteggerlo da ogni rischio d’infortunio, sarebbe condannato a farsi cadere ogni pezzo dalle mani. Come se le avesse, per l’appunto, di ricotta. E come se la felicità, esattamente alla maniera dei liquidi, prendesse la forma del recipiente che la contiene, mettendoci un attimo a passare dal privilegio della chicchera più raffinata alla condanna irreversibile della pozza informe.
Milena Agus ci porta a Cagliari, nel quartiere di Castello, dove c’è un grande palazzo antico che un tempo è appartenuto a un conte e alla sua famiglia. Da quando l’aristocratico signore e sua moglie “non sono più”, la residenza è stata suddivisa in più unità abitative, nelle quali alloggiano sia le tre ereditiere sia, per necessità, alcuni inquilini non troppo graditi. È per questo che Noemi, la sorella maggiore che occupa il piano più alto, vorrebbe ricomprare tutta la proprietà, appartamento dopo appartamento. E mentre lei, in virtù della sua innata «visione sistemica», dedica l’esistenza a questa missione immobiliar-sentimentale, le sorelle minori coltivano ambizioni, per così dire, più femminili: Maddalena, la seconda, abita al piano nobile con il marito Salvatore, e desidera tanto un figlio che non vuole saperne di arrivare; la terza, denominata “la contessa di ricotta” per la sua mollezza di cuore e di carattere, ha riadattato a uso domestico l’ex magazzino per le provviste, e da lì sogna un nuovo compagno che possa fare anche da padre al piccolo Carlino, bimbo stravagante e disadattato con un talento innato per il pianoforte. A dispetto del titolo, nell’economia del romanzo non è però lei, “la contessa”, a farla da padrona, perché il suo profondo disagio nello stare al mondo non è meno protagonista del detestabile pragmatismo di chi la circonda. Oltre che delle sorelle e del pargolo, difatti, c’è da tenere conto di tutto il circondario, con cui tocca relazionarsi: il vicino intrigante e scontroso che stava con una bellissima violinista, ora scomparsa dalla circolazione; la vecchia tata, sulla quale grava il sospetto di avere intossicato la contessa madre e che è tornata a vivere nel palazzo; il suo giovane nipote Elias, pastore con la passione per le terraglie di lusso e restauratore di facciate, che forse farà innamorare come non mai proprio l’algida Noemi…
La contessa di ricotta è un delizioso romanzo “familiare”, incentrato su una sorellanza che, pur senza eroismo alcuno, non si vuole arrendere ai colpi bassi di una vita sgarbata e dispettosa. Con il suo caratteristico stile, dal tocco sempre lieve e fulminante come “un pensierino” ben assestato, Milena Agus racconta di un quartiere di città dai profumi inconfondibili in cui brulicano i desideri autentici di un’umanità un po’ buffa e un po’ straordinaria, irresistibile anche nell’assenza di difese e nell’ammissione impudica di pusillanimità. Sarà per questo che nell’apprendere le “gesta” quotidiane delle tre sorelle si avverte come un senso di sottesa tenerezza, quasi un’indulgenza che le perdona del peccato “genetico” di sbagliare sempre la misura: è così per il ricordo frustrato degli antichi fasti, per il sesso furioso e dolcissimo alla ricerca di un concepimento felice, per il tentativo di onorare l’insegnamento invece che girare alla larga dal Provveditorato agli studi temendo la possibilità di qualche supplenza… Mentre Noemi, Maddalena e “la contessa di ricotta” passano il tempo a chiedersi che cosa hanno fatto di male, dove hanno sbagliato e che cosa ci sia che non va in loro, il lettore, e prima ancora la scrittrice, le hanno già assolte da ogni errore e da ogni irresistibile imperfezione. La vita, per quanto doloroso possa essere, può diventare più bella proprio in virtù delle perdite e delle rotture, originale come un prezioso servizio da dodici rimasto fatalmente orfano di un’unità: sembra che sia proprio così, ed è ciò che leggendo La contessa di ricotta si impara a chiamare “una visione sistemica alternativa”.
Cecilia Mariani
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