Ali di babbo
di Milena Agus
Nottetempo, 2008
pp. 142
Euro 13,00
«Senza la magia la vita è solo un grande spavento». Così la pensa Madame, e così ha cominciato a pensarla anche la sua vicina di casa quattordicenne, che in Ali di babbo, romanzo di Milena Agus pubblicato dopo il successo di Mal di pietre, ne racconta la storia e quella del comune vicinato. Ancora una volta in Sardegna, vicino alla costa, nel bel mezzo di una macchia mediterranea ambitissima ma che non vuole cedere alle lusinghe del cemento e del turismo. E ancora una volta dando voce a una schiera di personaggi legati da vincoli di sangue o da forme particolari d’amicizia e d’amore: tutti veri, sublimi e grotteschi come è sempre l’umanità quando è spogliata da ogni sofisticato camuffamento, da ogni bugia pronunciata o accettata in malafede; semplice come quando è raccontata dal punto di vista di una bambina “grande” preoccupata per il suo menarca tardivo; migliore di quanto non si dica in giro se filtrata attraverso le lenti di un’immaginazione accesa, innata e, alla fine dei conti, salvifica.
Al centro di tutto c’è lei, Madame, donna di mezza età che non vuole vendere il suo terreno presso il mare perché preferisce viverci per conto proprio, offrendo ospitalità a un tot di persone per volta e godendo a fasi alterne della compagnia di alcuni amanti, tutti più o meno indecisi, crudeli e capricciosi. E poi ci sono i vicini, che nonostante la sua “stravaganza” e la sua cocciutaggine in materia di affari non possono non volerle bene: le vuole bene la famiglia organizzata «come un esercito», ma anche, anzi in primis, la famiglia dell’io narrante, composta da qualche sorellina più piccola, un nonno esemplare che confida nell’avvento dell’“uomo nuovo”, una zia filosofa, una mamma allettata e nessun padre. O meglio, con un padre che secondo la quattordicenne si manifesta di tanto in tanto sottospecie di “ali”…
Attraverso gli occhi della fantasiosa narratrice, colta nel delicatissimo passaggio dall’infanzia alla primissima adolescenza, Milena Agus racconta le complessità e le passioni di un microcosmo di individui la cui croce e delizia sta innanzitutto nell’abitare in un luogo talmente bello da far ammattire o da venire a noia. Ognuno con il suo desiderio, ognuno con la sua speranza: il fratello grande del piccolo Pietrino, per esempio, vorrebbe solo diventare un musicista jazz, mentre sua nonna, «Generale d’Armata» a cui nessuno dice la verità a fin di bene, confida che proprio questo suo nipote «Generale di Brigata» sarà il primo di una genia di ingegneri; la zia della narratrice, esperta di Leibniz, vorrebbe tanto ottenere un lavoro fisso, ma nonostante la sua bravura e le conferenze in giro per il mondo ottiene solo borse di studio (e colleziona fidanzati un po’ israeliani, un po’ palestinesi). E Madame? Madame, che si crede “avanzo”, “rifiuto” e “scoria” della sua numerosa stirpe, sogna di visitare la Ville lumière, impara il francese, cuce e cucina per tutti e combatte la convinzione di non valere nulla accettando ogni genere di abuso e di maltrattamento dall’altro sesso; un “male” da cui forse, a un certo punto, solo un inevitabile sacrificio e un bravo medico saranno in grado di guarirla.
Come già accadeva in Mal di pietre, anche in Ali di babbo lo stile di Milena Agus è determinante, e si impone con l’evidenza dei quadri di certi pittori maturi che affermano di averci messo una vita a disegnare alla maniera dei bambini. Piaccia o meno, forse è solo con questo tocco leggero che le storie di Madame e dei suoi vicini – che sono tutto fuorché prive di autentici drammi – riescono a donare sollievo al lettore: un po’ come se la scrittrice facesse propria la forma mentis “magica” di questa indimenticabile figura femminile (il cui vero nome viene rivelato solo nel finale), migliorando le sue “cose” – le “cose” di tutti, del mondo – con una prosa ariosa ed elastica proprio come un battito di ali.
Cecilia Mariani