di Adonis
Guanda, 2017
Traduzione di F. Al Delmi
pp. 158
€ 12,50 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Una raccolta di emozioni: ecco come potrebbe figurare la recente La foresta dell'amore in noi di Adonis, forse il poeta arabo più conosciuto anche in Occidente. Una poesia dello spazio bianco, tra strofe talvolta monoversali che lasciano all'io la sua centralità. Ma non esiste io senza "tu": interlocutore perenne, donna amata eppure mai chiamata per nome. D'altra parte è superfluo chiamarsi per nome, quando si condivide un'intimità ben più profonda, fatta di "ferite" condivise (parola-chiave), che si sono profondamente ricomposte solo nel corpo dell'altro. Questa mutua rispondenza di pronomi è lo specchio di uno scambio più profondo, che rimanda alla passione carnale, ben presente e profondamente intrisa di natura: le simbologie, talvolta martellanti, inseriscono gli amanti in un contesto decisamente ovidiano, se osiamo accostare la tradizione latina alla poesia araba di Adonis.
E proprio per questa estasi dell'uno che si completa nell'altro, non servono neanche aggettivi ridondanti o onnipresenti: basta qualche qualificativo a definire un dettaglio, ma domina ovunque l'evocativo, che il lettore può colmare con la propria sensibilità.
Accanto alle liriche amorose, senza dubbio preponderanti, che sempre coinvolgono l'identità mutevole del soggetto lirico, poesie meta-poetiche che riflettono, a fronte di una lunga esperienza poetica, della propria posizione nell'universo letterario e, soprattutto, si interrogano sulla funzione prima del poetare.
Se la raccolta pare talvolta lontana dalla letteratura occidentale e, per questo, complessa nella sua solo apparente semplicità, una lettura attenta e aperta alla libera interpretazione non farà che farci sentire più vicino Adonis, così come quando, a #TempodiLibri, ha declamato in arabo alcune delle sue liriche. E tutta l'armonia della poesia è fluita.
GMGhioni
Adonis insieme a Valerio Magrelli a Tempodilibri - foto di Samantha Viva |
La nostra ferita non è più una.
Ti ho incontrata - tu, la città - scritta dalle tempeste
col mare al suo apogeo.
Sono ancora il bambino invaghito della solitudine
il mio corpo, per lo stupore, l'esaltazione,
non sta più nella pelle.
La nostra ferita non è più una.
(p. 18)
***
Tutto ciò che non riesco a dire
sprofonderà nel mio silenzio.
Eppure io vivo,
nell'avanti (l'avanti è l'amore) io vivo,
convinto che la mia morte rimarrà dietro,
trascinandosi confusa,
senza avvenire,
senza saggezza.
(p. 29)
***
Il pianto cala specchi frantumati
sotto le tue ciglia
(p. 44)
***
Ogni volta che di notte
leggo il mio corpo
indosso il suo corpo,
mi stupisco leggendo il suo amore:
la notte non può che essere
i suoi tratti,
i suoi segreti, non può che
essere il suo nome.
(p. 64)
***
Come rimanere radice per il tuo amore
io che non sono né terra né acqua? All'ombra
nego me stesso e al sole
domando da dove sono venuto. Ma
cercherò di imparare dove
e come rimanere
nube per il tuo amore.
(p. 78)
***
Da anni
mi aggiro nelle foreste del significato
vi pascolo le gazzelle del mio pensiero.
Il mio senno non accetta le cose come si manifestano
e come piacciono
agli occhi del mio amore.
La mia follia
diventa quasi senno.
(p. 136)