Al Salone del Libro di Torino si è svolto un ciclo di incontri curato da Ilide Carmignani e dedicato al tema Lo scrittore e il suo doppio, in cui gli autori stranieri si sono confrontati con i propri traduttori.
Il 20 maggio Annie Ernaux ha conversato con il suo traduttore/editore Lorenzo Flabbi (L’Orma Editore). I temi toccati in questo incontro hanno rivelato molti aspetti della poetica della scrittrice, inoltre è stata fatta luce sulle difficoltà che la traduzione di una scrittura limpida come quella di Ernaux può riservare.
Ilide Carmignani, che ha coordinato lo scambio, ha ricordato come il grande successo di pubblico di Annie Ernaux in Italia sia arrivato proprio con le traduzioni di Lorenzo Flabbi; ha poi domandato alla scrittrice francese se abbia avvertito difficoltà nel trovare le parole per fissare alla perfezione un certo frammento del passato, e dunque come costruisce la sua lingua di scrittrice. Annie Ernaux si è soffermata sulla parola “perfezione”, ammettendo che il passato è un tema che le è molto caro e che quando scrive la sua intenzione è sempre quella di trovare le parole che rendano una precisa sensazione. In Memoria di ragazza in particolare ha voluto rendere la sensazione e i pensieri di una diciottenne; in principio non ci sono le parole, ha ammesso Ernaux, ma solo l’idea di una sensazione: la difficoltà maggiore sta nel trovare le parole che esprimano alla perfezione la sensazione che ha in mente.
Per la sua lingua di autrice sono stati importanti alcuni autori in particolare, come Flaubert e George Perec; tra gli stranieri l’autrice ha ricordato Virginia Woolf nella traduzione di Marguerite Yourcenar e anche Pavese. Carmignani ha sottolineato un aspetto rilevante della sua scrittura, quello dell’importanza del silenzio, ossia delle pause, gli spazi bianchi lasciati alla pagina, il che vuol dire anche l’importanza del ritmo, della musicalità: sebbene queste non siano parole che Ernaux usa, l’autrice ha dichiarato che, mentre scrive, è indispensabile che ci sia un accordo tra la sensazione che ha in mente e la parola scritta, un pensiero che non dice a voce alta, ma che realizza nella sua mente.
La peculiarità dell’incontro è consistita nel poter sentire l’altra voce dell’autrice, quella di Lorenzo Flabbi, che ha approfittato della presenza di Ernaux per confessare la sua personale inquietudine nata dal senso di responsabilità nel tradurre le sue opere: lavorare ai libri di Annie Ernaux, ha detto Flabbi, «è un’avventura esistenziale e intellettuale unica; è un privilegio, ma anche una dannazione»; ha proseguito sviscerando alcuni aspetti della sua scrittura, che è così tersa e precisa da richiamare il traduttore a una ricerca ugualmente perfetta. Il punto di vista privilegiato di Flabbi ha svelato alcune verità sulle pagine dell’autrice, che a suo dire non indulge mai nelle emozioni che racconta, si ferma sempre a un passo, senza che il grado di tensione emotiva ne risenta. È quindi sceso ancor più nel particolare, mostrando agli ascoltatori uno scorcio del suo laboratorio di traduttore, raccontando di come lavori a più traduzioni dello stesso passo: nelle prime versioni la lingua non è ancora all’altezza, specialmente per le ultime opere dell’autrice, in cui l’evoluzione della scrittura è palpabile, rispetto ai primi romanzi. La difficoltà sta tutta nel riportare nella nostra lingua una scrittura estremamente netta, di una semplicità propria dei grandi autori.
E quale, invece, il punto di vista di Ernaux sulla traduzione? Questa domanda di Carmignani ha dato a Ernaux la possibilità di ringraziare Flabbi per aver scelto di tradurre i suoi libri, e di riservargli un elogio importante: l’autrice ha parlato al pubblico di come il suo traduttore italiano abbia compreso la semplicità della sua scrittura e di come ne abbia intuito la complessità; pur non conoscendo la nostra lingua, le recensioni positive e il calore del pubblico italiano le hanno fatto capire che la sua traduzione è perfetta, rispettosa dell’evoluzione che il suo stile ha compiuto in trent’anni di attività. Carmignani ha quindi introdotto un argomento più tecnico, che ha dato modo di riflettere sulle difficoltà che una traduzione può riservare a chi non si è mai cimentato: poiché il passato è un tema ricorrente nei libri di Ernaux, i culturemi, cioè le parole culturali, sono molto frequenti nelle sue pagine. In questo modo Flabbi ha avuto l’occasione di parlare di alcuni obbiettivi che si prefigge nelle sue traduzioni: mira a che siano testi autonomi, senza aggiungere note esplicative, perché dev’essere il testo a parlare. Per risolvere il nodo dei culturemi è ricorso a un breve glossario finale ne Il posto, in modo che il lettore italiano potesse consultare una piccola enciclopedia con quei termini che sono ovvi per il lettore francese; in altri casi ha usato una giustapposizione, per esempio la parola capes, ossia l’esame per insegnare noto a tutti i francesi veniva tradotta con la perifrasi “il concorso del capes”.
L’ultima domanda, riguardante il rapporto tra la lingua familiare e la lingua madre, ha dato spazio all’autrice di raccontare qualcosa di sé e della sua giovinezza, svelando un altro tassello importante per comprendere la sua scrittura. L’autrice ha raccontato che nella sua infanzia e nell’adolescenza queste due lingue coesistevano distanti, l’una sui libri che ha presto cominciato a divorare e l’altra in casa, la lingua del quartiere e dei genitori che era un francese popolare misto al dialetto della Normandia; eppure queste due lingue si incontrano dove Ernaux colloca la sua scrittura, con cui desidera trasmettere lo spirito delle sue origini e della sua lingua materna.
A cura di Lorena Bruno
@Lorraine_books
Il 20 maggio Annie Ernaux ha conversato con il suo traduttore/editore Lorenzo Flabbi (L’Orma Editore). I temi toccati in questo incontro hanno rivelato molti aspetti della poetica della scrittrice, inoltre è stata fatta luce sulle difficoltà che la traduzione di una scrittura limpida come quella di Ernaux può riservare.
Ilide Carmignani, che ha coordinato lo scambio, ha ricordato come il grande successo di pubblico di Annie Ernaux in Italia sia arrivato proprio con le traduzioni di Lorenzo Flabbi; ha poi domandato alla scrittrice francese se abbia avvertito difficoltà nel trovare le parole per fissare alla perfezione un certo frammento del passato, e dunque come costruisce la sua lingua di scrittrice. Annie Ernaux si è soffermata sulla parola “perfezione”, ammettendo che il passato è un tema che le è molto caro e che quando scrive la sua intenzione è sempre quella di trovare le parole che rendano una precisa sensazione. In Memoria di ragazza in particolare ha voluto rendere la sensazione e i pensieri di una diciottenne; in principio non ci sono le parole, ha ammesso Ernaux, ma solo l’idea di una sensazione: la difficoltà maggiore sta nel trovare le parole che esprimano alla perfezione la sensazione che ha in mente.
Per la sua lingua di autrice sono stati importanti alcuni autori in particolare, come Flaubert e George Perec; tra gli stranieri l’autrice ha ricordato Virginia Woolf nella traduzione di Marguerite Yourcenar e anche Pavese. Carmignani ha sottolineato un aspetto rilevante della sua scrittura, quello dell’importanza del silenzio, ossia delle pause, gli spazi bianchi lasciati alla pagina, il che vuol dire anche l’importanza del ritmo, della musicalità: sebbene queste non siano parole che Ernaux usa, l’autrice ha dichiarato che, mentre scrive, è indispensabile che ci sia un accordo tra la sensazione che ha in mente e la parola scritta, un pensiero che non dice a voce alta, ma che realizza nella sua mente.
La peculiarità dell’incontro è consistita nel poter sentire l’altra voce dell’autrice, quella di Lorenzo Flabbi, che ha approfittato della presenza di Ernaux per confessare la sua personale inquietudine nata dal senso di responsabilità nel tradurre le sue opere: lavorare ai libri di Annie Ernaux, ha detto Flabbi, «è un’avventura esistenziale e intellettuale unica; è un privilegio, ma anche una dannazione»; ha proseguito sviscerando alcuni aspetti della sua scrittura, che è così tersa e precisa da richiamare il traduttore a una ricerca ugualmente perfetta. Il punto di vista privilegiato di Flabbi ha svelato alcune verità sulle pagine dell’autrice, che a suo dire non indulge mai nelle emozioni che racconta, si ferma sempre a un passo, senza che il grado di tensione emotiva ne risenta. È quindi sceso ancor più nel particolare, mostrando agli ascoltatori uno scorcio del suo laboratorio di traduttore, raccontando di come lavori a più traduzioni dello stesso passo: nelle prime versioni la lingua non è ancora all’altezza, specialmente per le ultime opere dell’autrice, in cui l’evoluzione della scrittura è palpabile, rispetto ai primi romanzi. La difficoltà sta tutta nel riportare nella nostra lingua una scrittura estremamente netta, di una semplicità propria dei grandi autori.
E quale, invece, il punto di vista di Ernaux sulla traduzione? Questa domanda di Carmignani ha dato a Ernaux la possibilità di ringraziare Flabbi per aver scelto di tradurre i suoi libri, e di riservargli un elogio importante: l’autrice ha parlato al pubblico di come il suo traduttore italiano abbia compreso la semplicità della sua scrittura e di come ne abbia intuito la complessità; pur non conoscendo la nostra lingua, le recensioni positive e il calore del pubblico italiano le hanno fatto capire che la sua traduzione è perfetta, rispettosa dell’evoluzione che il suo stile ha compiuto in trent’anni di attività. Carmignani ha quindi introdotto un argomento più tecnico, che ha dato modo di riflettere sulle difficoltà che una traduzione può riservare a chi non si è mai cimentato: poiché il passato è un tema ricorrente nei libri di Ernaux, i culturemi, cioè le parole culturali, sono molto frequenti nelle sue pagine. In questo modo Flabbi ha avuto l’occasione di parlare di alcuni obbiettivi che si prefigge nelle sue traduzioni: mira a che siano testi autonomi, senza aggiungere note esplicative, perché dev’essere il testo a parlare. Per risolvere il nodo dei culturemi è ricorso a un breve glossario finale ne Il posto, in modo che il lettore italiano potesse consultare una piccola enciclopedia con quei termini che sono ovvi per il lettore francese; in altri casi ha usato una giustapposizione, per esempio la parola capes, ossia l’esame per insegnare noto a tutti i francesi veniva tradotta con la perifrasi “il concorso del capes”.
L’ultima domanda, riguardante il rapporto tra la lingua familiare e la lingua madre, ha dato spazio all’autrice di raccontare qualcosa di sé e della sua giovinezza, svelando un altro tassello importante per comprendere la sua scrittura. L’autrice ha raccontato che nella sua infanzia e nell’adolescenza queste due lingue coesistevano distanti, l’una sui libri che ha presto cominciato a divorare e l’altra in casa, la lingua del quartiere e dei genitori che era un francese popolare misto al dialetto della Normandia; eppure queste due lingue si incontrano dove Ernaux colloca la sua scrittura, con cui desidera trasmettere lo spirito delle sue origini e della sua lingua materna.
A cura di Lorena Bruno
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