di Paola Zannoner
DeA, 2017
pp. 368
€ 14,90
Autrice di culto per i giovanissimi, Paola Zannoner si cimenta ancora una volta con una prova ambiziosa. L’ultimo faro è un romanzo per giovani adulti dalla struttura articolata e denso di contenuti, che riesce ad affrontare con delicatezza temi etici di rilievo.
La storia è semplice: quattordici ragazzi di età compresa tra i dodici e i quindici anni partecipano, più o meno volontariamente, a un campo estivo di tre settimane in un faro che si erge in una desolata zona costiera. Si tratta di adolescenti problematici, ognuno carico di un fardello soltanto vagamente intuibile dall’esterno: Ahmed, che ha attraversato il deserto alla ricerca di una vita migliore; Deirdre, che vorrebbe avere tutto sotto controllo e finisce per esercitare un dominio assoluto sul proprio corpo e sul cibo che (non) assume; la timida Fran, ossessionata da tutto, paralizzata dalle proprie paure; Samuele, che non riesce a trattenere i propri scatti di rabbia. E ancora Walter, Natasha, Sergio, Cicca…
Per gestire una tale quantità di personaggi, Paola Zannoner costruisce un duplice piano narrativo: una cornice in cui viene descritto lo svolgimento della vacanza, con il progressivo avvicinarsi dei partecipanti, inizialmente sospettosi e ostili, e un piccolo mistero da svelare; una sequela di narratori di secondo grado, i ragazzi stessi, che di volta in volta prendono la parola per raccontare le proprie storie, rivelare le proprie ferite nascoste, fornire il proprio punto di vista personale sugli eventi.
Adottando con abilità uno stile mimetico volto a rispecchiare il carattere e i trascorsi dei protagonisti, la scrittrice riesce a far emergere dalla pagina figure complesse e a tutto tondo, dando spessore a chi, nel vortice generale della storia, avrebbe rischiato di restare semplice sagoma sullo sfondo.
Poco alla volta il lettore si addentra nelle esistenze degli abitanti del faro e, attraverso un immediato impulso all’identificazione, è costretto a riflettere sulle problematiche sollevate da ciascuno: la dipendenza da videogiochi, i disturbi alimentari, l’immigrazione, la scoperta della sessualità, il lutto. Ognuno di questi aspetti viene affrontato solo indirettamente, con uno sguardo traverso, facendone affiorare le criticità attraverso le visioni dei narratori, il loro impatto con i pregiudizi di chi li circonda.
Nessuno di tali argomenti viene davvero approfondito – per questo la lettura è adatta a ragazzi dell’età dei protagonisti, non ai più grandi –, ma la Zannoner li porta alla luce con intelligenza, sfiorandoli con naturalezza senza demonizzarli, e mostrando la capacità della parola di esorcizzare i tabù. Proprio in questo, tra l’altro, si può leggere il significato più profondo dell’opera, quello a cui hanno accesso primariamente gli adulti, ma che possono intuire anche i lettori più giovani e attenti: L’ultimo faro è anche una splendida parabola sul potere della comunicazione, dell’espressione verbale e figurativa.
Attraverso il confronto, attraverso scambi dialogici fittissimi, attraverso la sistematica esposizione di sé in forma di racconto, i protagonisti arrivano a capire di più su se stessi, a costruire relazioni solide e vere, a fare i conti con le proprie fragilità. Emblema di questo percorso di maturazione tramite la parola sono quelli che si configurano come i veri protagonisti: l’istrionico Tudor, dall’intelligenza vivacissima e la battuta sempre pronta, che si fa portavoce di un’etica della trasparenza e della verità, e Lin, rude per proteggersi, ma in realtà sensibilissima, segnata da sensi di colpa che non vuole ammettere neppure con se stessa. Lin e Tudor sono i portatori delle riflessioni metaletterarie sul testo e ritornano a più riprese sul relativismo con cui bisogna accogliere ogni prodotto narrativo (e, se la letteratura è inestricabilmente connessa con l’esistenza, anche ogni essere umano che ci circonda):
Io di sicuro non sono un automa, non lo sarò mai. È come quella serie fortissima, quella che gioca sui punti di vista, e che ricostruisce una storia a seconda di chi parla: tutti hanno il loro modo di vedere, l’altro è bello o brutto a seconda di chi lo guarda e lo giudica. Io non sono facile da classificare, non mi metti dentro una scatolina e dici: questo è Tudor. (142).
Il pericolo della scrittura è quello di voler etichettare tutto, catalogare tutto. Da questo ci mettono in guardia i personaggi e l’autrice stessa: “le vite sono complicate e se ne possono raccontare soltanto piccoli pezzi” (362), il rimedio per evitare semplificazioni è allora quello di frammentare l’unità narrativa, di assumere punti di vista differenti, di creare un affresco corale in cui ognuno abbia il proprio spazio di espressione. Le qualità richieste sono poche, ma difficili da trovare dentro di sé: coraggio, talento, stupore per il mondo e i suoi abitanti. Facendo del proprio romanzo un manifesto di questo modo di vedere le cose (con sorpresa finale), Paola Zannoner racconta una storia pulita e bella, che profuma di mare e di giovinezza, di falò sulla spiaggia e di amicizie appena nate.
Carolina Pernigo
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