Samuel Page sta scrivendo un articolo per la rivista «World» affrontando una sfida complessa e inusuale: vivere a New York per due mesi senza scambiare una sola parola con nessuno, nemmeno per i bisogni impellenti o urgenti. "Ce la farà?" È quello che si ripete in continuazione il suo direttore, spaventato dall’indole tendenzialmente misantropa del reporter che potrebbe distoglierlo dallo scopo ultimo del reportage: raccontare la città e la vita frenetica del XXI secolo in un’ottica diversa, scegliendo una prospettiva inedita per costruire un urban romance contemporaneo. Ci riuscirà davvero?
Il suono del mondo a memoria è il primo graphic novel scritto, disegnato e colorato (!) da Giacomo Bevilacqua, autore romano conosciuto in rete (e anche in fumetteria, dato che la Panini Comics ne ha pubblicato le storie in un volume unico) per le strisce comico-esistenziali di A Panda Piace. Se spostassimo la domanda che il direttore si pone su Sam al suo ideatore, la risposta sarebbe incerta. Il volume, infatti, si dimostra un esordio felicissimo per il fumettista (tanto che pochi giorni fa ne ha annunciato il suo approdo anche nel mercato letterario dei cugini francesi), ottenendo un ampio successo di pubblico. Eppure il testo di Giacomo Bevilacqua sembra più una trovata in grado di assecondare i gusti attuali dei neofiti del mondo a fumetti che non un’operazione artistica volta a ingraziarsi il pubblico degli intenditori e trovare in loro lo zoccolo duro dei propri sostenitori.
Il primo livello del testo, quello più superficiale, è innegabilmente positivo ed estremamente godibile. Dietro la vita di Sam si cela la dimensione latente del non detto che ognuno di noi vive nella propria quotidianità e Il suono del mondo a memoria si presenta come un vero fumetto di sentimento, riuscendo perfettamente a rendere corporeo qualcosa che per natura è impalpabile e indefinito. L’autore è riuscito infatti a trasporre nelle sue tavole, dal piglio comunicativo molto agile e dal ritmo incalzante ma che rallenta al momento giusto, il rumore del mondo, quel sottofondo costante e che non si riesce a descrivere che accompagna ogni gesto ma a cui non sappiamo dare un nome. Proprio perché la sensibilità di ognuno è diversa, c’è chi definirebbe il suono che lo circonda un insieme di rumori fastidiosi e chi invece ne riuscirebbe a cogliere la poeticità in mezzo al caos delle grandi città. Bevilacqua ha disegnato il suono grazie a colori (in una tale armonia con il testo da salutare felice la scelta di occuparsene in prima persona) che suggeriscono una languida malinconia grazie alla palette che accosta grigi e marroni con arancioni e gialli, suggerendo un’atmosfera da dolce tramonto metropolitano, e a rappresentazioni architettoniche precise e fotografiche, presentando New York in tutto il suo splendore e che diventa la protagonista più importante di tutto il volume.
E qui vengo alla superficie più profonda del testo, quella che il lettore più attento (e magari pretenzioso) raggiungerà alla seconda lettura de Il suono del mondo a memoria. Un secondo approccio, infatti, sembra quasi necessario per sopperire alla sensazione di vuoto e di incompletezza provata chiudendo l’ultima pagina del testo. Non solo perché il finale risulta abbastanza prevedibile, ma perché sembra quasi che le tante pagine siano state riempite di elementi (primi tra tutti quelli grafici) accessori e che quelli più importanti siano stati messi da parte. Grande assente è la caratterizzazione dei sentimenti e delle vite dei protagonisti. Ad esempio, il romanticismo de Il suono del mondo a memoria si insinua inizialmente con una certa sicurezza tra le pieghe della narrazione e per un momento riesce anche a dare coerenza all’insieme, peccato però che la trama venga così annacquata dai pensieri del protagonista da risultare sempre marginale e incapace di prendere le redini della narrazione, sempre sequestrata da quell’approccio emotivo che nelle intenzioni dell’autore dovrebbe essere preponderante. Gli episodi fondamentali della storia sono sempre ancorati a qualche elemento dello sfondo, ma c’è un chiaro squilibrio tra l’approfondimento dei veri protagonisti e l’approfondimento di quel che resta, per l’appunto, uno sfondo: di New York, Bevilacqua ci regala bellissimi paesaggi, riprese aeree, considerazioni sulla sua vita brulicante, ma poche scene di quotidianità, pochi aneddoti realistici. Grandi voli pindarici nella mente del protagonista e pochi atterraggi in quell’urban che avrebbe dovuto fare da traino a tutta la storia. Il fumetto è un prodotto letterario adatto alle torme di giovani hipster che vanno sbandierando in giro la loro presunta passione per il mondo dei fumetti, ma che di questo mondo amano solo la veste più esterna e non la profondità del messaggio. In tutto questo non vedo per forza un aspetto negativo, considerando che da sempre gli autori hanno esordito provando ad assecondare le mode per poi esplodere con la loro identità. Avrei apprezzato un pizzico di coraggio in più da parte di Bevilacqua, ma il suo graphic novel lascia ben sperare per future prove complete e di altissimo livello.
Federica Privitera