Che fare, dunque?
Lev Nikolaevič Tolstoj
Fazi Editore, 2017
pp. 246
€ 20
«Mai, in vita mia avevo abitato in città». Sembra l’incipit di un romanzo contemporaneo. Pulito, essenziale, senza pretese di sbalordire. Invece è Tolstoj, nel 1882.
Dopo aver pubblicato i suoi due grandi romanzi Guerra e Pace e Anna Karenina, Tolstoj prende parte al censimento di Mosca, che gli
offre lo spunto di riflessione per sviluppare un saggio sulla povertà e la
ricchezza: Che fare, dunque?
È appena scoppiata la Seconda Rivoluzione Industriale, Mosca
è agli esordi del suo processo di industrializzazione e i cittadini vivono
l’indigenza che ogni rivoluzione si porta dietro. Tutti i giorni, Tolstoj esce
dalla sua villa non lontana dal Cremlino e si inoltra nei quartieri popolari,
toccando con mano la disperazione e la
fame metropolitana. Se in Anna Karenina,
Tolstoj era stato a lungo a contatto con i contadini della campagna russa, ora
si trova nel bel mezzo di una realtà inesplorata: quella degli operai e dei
senzatetto.
Il censimento. Tolstoj scopre una folla affamata, decine di migliaia
di persone, dice. Mentre altre migliaia, come lui, si abbuffavano di filetto e
storione. E sente forte un peso, complice di un delitto che è quello del lusso.
Ogni sera, al tramonto, Tolstoj si recava alla Casa Ržanov.
Gli inquilini del caseggiato erano lavoratori e brava gente, ma l’aiuto di cui
necessitavano non consisteva in un contributo in denaro, bensì in tempo e cure.
Erano spesso persone che avevano perso una condizione agiata e speravano ancora
di riprendersela. Per cui, non sarebbe bastato sfamarli, ma era necessario
curare il loro stomaco viziato. Infine, c’erano le ‘donne perdute’, e
tantissimi bambini, orfani o figli di prostitute.
È così, che decide di portarsi a casa uno di loro: «È facile
prendersi in casa il bambino di una povera prostituta e, avendone i mezzi,
lavarlo, rivestirlo di abiti decenti, sfamarlo e anche farlo studiare, molto
facile, ma insegnargli a guadagnarsi il pane per noi, che nulla facciamo per
procurarcelo, è non solo difficile, ma addirittura impossibile […]».
E pure, è difficile per un ricco individuare chi ha
realmente bisogno di aiuto. E allo stesso tempo, per un ricco privarsi del superfluo.
Il denaro. Tolstoj spiega che la Scienza, così come
l’Economia Politica, sono in torto: non è vero che il denaro non ha nulla a che
vedere con la schiavitù e la povertà. Chi possiede denaro assoggetta – dunque
riduce alla fame e all’asservimento – chi non lo possiede. Insomma, Tolstoj sembra
essere convinto che sia questo la causa della schiavitù. E il denaro, non è da
intendersi solamente come soldi o moneta, ma anche bestiame, metalli e terre
possedute.
La causa. La Scienza, La Filosofia e la Religione non
risolvono il problema della Povertà, al contrario, operano a sostegno del
Sistema Ricchezza. La più antica, la dottrina cristiana, secondo cui gli uomini
differiscono gli uni dagli altri per Volontà Divina; quella hegeliana secondo
cui l’ordine costituito è razionale; quella
scientifica, dalla piramide di produzione alla lotta per la sopravvivenza. La
società occidentale, insomma, non solo è avvezza all’asservimento, ma è pronta
anche a giustificarlo con i più abili sofismi. La Cosa Buona e Giusta. E il popolo la rispetta.
La Soluzione. «Ho capito che, se io, autore assai fertile, che
per quarant’anni non aveva fatto altro se non scrivere e che aveva prodotto
trecento fogli a stampa, avessi impiegato quei quarant’anni a lavorare fianco a
fianco al popolo, se avessi letto e studiato per cinque ore ogni giorno, senza
considerare le serate invernali e i giorni di festa, e scritto solo durante le
festività due pagine al giorno, quegli stessi trecento fogli a stampa li avrei scritti
in quattordici anni».
È pensiero diffuso che i ricchi debbano dedicarsi al lavoro
intellettuale e all’ozio, Tolstoj sembra non essere più d’accordo, e trova la
risposta ai suoi quesiti in un’attività naturale: fare con le proprie mani
tutto ciò che siamo in grado di fare. È la vecchia massima del lavoro che
nobilita l’uomo ‒ condivisibile o meno ‒ che ha radici più antiche di quelle ottocentesche.
Così, il percorso di rinnovamento spirituale di Tolstoj,
sotto l’egida del Cristianesimo, sembra giunto al termine. E la riflessione
Etica, ormai sfociare in una Morale bene definita:
La folla così lo interrogava «Che cosa dobbiamo fare?».Egli rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha del cibo faccia lo stesso». (Luca, 3, 10-11)
Isabella Corrado