di Francesco De Gregori con Antonio Gnoli
Laterza, 2017
pp. 233
10 €
...e quello che non so lo so cantare.
Inizio con una premessa: Francesco De Gregori non è un simpatico.
Più leggevo Passo d'uomo, dialogo col giornalista Antonio Gnoli, ex capo delle pagine culturali e ora collaboratore di Repubblica, appena uscito nell'Economica di Laterza, più pensavo “Oh ma senti questo”.
"Il Principe", l'autore della Donna Cannone, di Nino e la sua Leva calcistica della classe '68. Di Buonanotte fiorellino sì, ma pure di Pablo, di Viva l'Italia, de La storia siamo noi. Di Festival, e Gambadilegno a Parigi, e Santa Lucia. L'autore di un pezzo di coscienza cantautorale del nostro Paese, il “Bob Dylan italiano”.
Io volevo forse, come tutti i fan, trovare le conferme a quel che mi piaceva di lui, nella sua voce. Volevo sentirmi raccontare la nascita delle canzoni, le simpatie politiche, pezzettini di vita privata, e ripercorrere le tappe di quella pubblica.
Volevo una biografia commentata.
E invece c'è dentro questo libro un divagare, talvolta uno sputare franco e secco delle sentenze e delle opinioni personali che uno dice “ma fai il cantante” e ti aspetti che Francesco De Gregori interpreti la sua parte. Così come quando vai a un suo concerto e ti aspetti che faccia Buonanotte fiorellino per cantarla insieme a lui e poi cambia tutti gli arrangiamenti e che era Buonanotte fiorellino lo capisci a metà canzone.
E questa cosa mi infastidiva, a tratti lo trovavo arrogante, questo saltare di palo in frasca, questo tirare in ballo i grandi temi della vita da un lato dicendo “io la penso così e c'ho ragione io perché sono io” e dall'altro però senza dare davvero risposte definitive, una sorta di cazzeggio come se lui e Antonio Gnoli stessero facendo una chiacchierata fra loro, da cui io, il lettore, supremo padrone, ero esclusa.
Quindi ho finito di leggere questo libro un po' offesa, e l'ho lasciato sullo scaffale a decantare come quando penso che in realtà devo prendere un po' di distanza per capire il valore di quel che ho appena letto.
E poi ho pensato che non vuol dire niente essere simpatici.
Oggi c'è questa spinta, un'ansia tutta un po' televisiva del ricorrere al personaggio simpatico, al viso amico, all'uomo della porta accanto in cui identificare le proprie idee. Per contro c'è il maledetto, quello sopra le righe, il cafone che alza la voce.
E invece De Gregori è il vicino di casa educato ma che non ha tanta voglia di fare conversazione quando salite insieme in ascensore.
Francesco De Gregori però non deve essere simpatico.
È un essere umano come tutti, anche se fa un lavoro sotto gli occhi di tutti; ed è vero, sì, un artista va giudicato per il suo lavoro - e quello personalmente mi è sempre stato più che simpatico - ma anche per la persona che è, che non si vergogna (e ci mancherebbe!) di essere.
E dunque De Gregori non è un simpatico, ma è umano (troppo umano?).
E io, la chiave di interpretazione del suo libro ce l'avevo lì. Continuamente ribadita. Passo d'uomo. Di certo non una biografia commentata.
E la sua umanità, alla fine, me l'ha reso più simpatico, lui e il libro. Come il vicino di casa che saluta sempre ma non scambia mai due parole in ascensore. Magari c'ha i fatti suoi. Magari è timido, o magari è stronzo.
E però alla fine che non sia simpatico con te non vuol dire niente.
E alla fine, comunque, a pensarci bene, c'erano tutte le cose che mi interessava leggere. Nascoste nelle pieghe del discorso. Come le parole di Buonanotte fiorellino nel loro arrangiamento diverso.
Che però uno dice, per sentirtela uguale uguale a come la volevi, la canzone, ti ascoltavi il disco. E soprattutto, Buonanotte fiorellino è stata una parentesi che gli perdoniamo, perché in fondo la amiamo tutti anche se ha fatto molto di meglio.
Che forse, a ben vedere, è l'assunto fondamentale di questo libro.
Giulia Marziali