I colpi dei sensi
di Erri De Luca
Fahrenheit 451, 1997
pp. 36
€
3,10
Sono di un secolo e di un mare minore.
Sono nato in mezzo a entrambi, a Napoli nel 1950.Da questo falso centro, apparenza di tribuna numerata, non ho conosciuto profondità di campo né di dettaglio. Ho inteso poco, male il tempo e le azioni. Da ospite in impaccio ne ho trattenuto cenni. Li voglio lasciare a un nipote curioso, forse intenerito dall'atrocità e dalla modestia delle vite che l'hanno preceduto.
Allineo, uno per senso, i colpi che si sono fermati a caso e ad arte nei ricordi.
I colpi dei sensi è un
libercolo di appena trentasei pagine in cui, rapidi come i colpi dei
sensi stessi, si snocciolano cinque racconti che traggono spunto dai
sensi umani appunto. L'ispirazione di Erri De Luca ha le sembianze
dell'udito, della vista, dell'odore, del tatto e del gusto. Per
ognuna di queste percezioni fisiche corrisponde una storia a volte
personale, a volte della vita circostante, altre di una quotidianità
infantile, di un tempo già trascorso altrove. L'udito per esempio si
rivolge al ricordo di una madre che dal porto urlò il nome del
figlio Salvatore. Un urlo caratteristico, denso dell'amore di una
madre, ritmato e cadenzato con uno stile così peculiare che se altri
sono in grado di ripetere e imitare con minuzia, lo scrittore ammette
di non riuscire a riproporlo in maniera perfetta.
Si era abituato a vedere le separazioni, non ci badava, del resto già da molti anni la gente nostra aveva preso a smaltire la miseria nelle Americhe.[…] Fu lui che raccontò a mia madre il grido. Era uno dei tanti. Non potè spiegarsi perché quello , non un altro o nessuno, si fosse impresso nella membrana acustica dell'anima.
Allora una donna con i capelli bianchi e il vestito nero, dolore e anni addosso dappertutto, gridò con tutta l'aria che aveva trattenuto. Sul primo silenzio del distacco fresco, gridò da sirena, da cagna, da madre, a sillabe stracciate: Sal va to re e. Un nome solo, chiamato e perso a gola rotta, ferì a vita mio zio, giovane impiegato bello, elegante, bravo a cantare e a suonare la chitarra a orecchio. Quando lo raccontava la sua voce scendeva in un tono spezzato e ripeteva in sordina, ma certo esattamente, quel grido. Gli saliva la pelle d'oca.
[…] Si stampa a caldo e a caso il dolore degli altri su di noi.
La vista trae spunto dal
vulcano Vesuvio che durante la guerra e nell'immediato dopoguerra, in
una Napoli invasa dai soldati, decise di risvegliarsi per dare altre
preoccupazioni alla madre già stanca dello scrittore. Sua mamma
aveva appena diciannove anni quando accadde tutto questo e non
riusciva a pensare ai venti. Odore è l'affascinante racconto dei
ricordi d'infanzia di Erri De Luca; è l'odore di brioches e di
esche, quando all'alba andava a pescare con lo zio e infante, si
sentiva un uomo. Alle volte c'era un ospite con loro. In Odore è
narrata la volta in cui con loro s'imbarcò un uomo tatuato. Aveva
dei numeri disegnati nel braccio, ma Erri, bambino discreto e
silenzioso, osservava senza chiedere. Soltanto dopo che la mattinata
di pesca fu conclusa, dopo aver divorato con la compagnia le brioches
con le mani sporche di esche e di pesce, soltanto quando i due
estranei -bambino e uomo tatuato- si diedero la mano in segno di
saluto, soltanto allora Erri scoprì il significato del tatuaggio.
Quell'uomo, amico di suo zio, non troppo esperto di pesca, era uno
dei pochi superstiti di un campo di sterminio.
I bambini scrutano i tatuaggi. La vanità virile dei marinai, come la nostalgia dei reclusi, consente che il corpo si presti da foglio e da tela al pennino aguzzo dell'incisore.
Racconto le poche cose che si sono fermate nei sensi. Più di tutto trattengo memoria di un odore maschile, di un'appartenenza a un mondo di adulti.
Ho saputo più tardi chi era quell'uomo tra noi. Era tra i pochi usciti dai campi di sterminio. Quel numero sul braccio non era un tatuaggio, ma l'infamia di una marcatura. Apparteneva a quella umanità sterminata con il gas Zyklon B, il cui odore ha avvelenato il nostro secolo, e che nessuno conosce.
Per il tatto Erri ci
conduce in un castello aragonese, meta di una gita settembrina in cui
accarezzò i muri e gli anelli di metallo ad essi bloccati, così ben
ancorati che impressionarono la mente giovanile dello scrittore. Il
gusto invece è un ricordo personale più recente che sprofonda
nell'esperienza fatta da De Luca in Tanzania attorno ai trent'anni.
Imparò le basi della lingua swahili e per poco non inciampò in un
mamba verde, un serpente prontamente ucciso dai suoi alleati del
luogo. Lì, ci spiega lo scrittore, non c'è neppure il tempo di
osservare certi animali perché si mette in atto subito una qualche
forma di difesa, prima che sia troppo tardi. Ma arrivarono le febbri
e con esse la malaria. Un brodo di pollo servito da una testarda e
generosa suora costrinsero Erri De Luca a non mollare, a sopravvivere
e a imbucarsi in un aereo per tornare in Italia solo con la
dissenteria da curare. Il suo ricordo collegato al gusto va e viaggia
in quei brodini di pollo serviti con tanta cocciutaggine dalla suora
che non lo lasciava morire e che chissà con quali e quanti sacrifici
si procurò pur di salvare una vita morente.
Chissà dove aveva trovato quel pollo, chissà quanto le era costato. So oggi che per la disidratazione è l'alimento più adatto. In quel momento ero troppo debole per riuscire a rifiutarlo, lo subivo come una tortura alla quale non potevo scampare. Morire diventa scomodo se qualcuno ti vuole per forza salvare, pensavo bollendo di febbre addosso a lei.
[…] Finirono le febbri, durava solo la dissenteria, salii su un aereo, le ho scritto qualche cartolina, qualche volta. La vita che da me svaporava distratta, profumata, mi fu rimessa dentro a cucchiaini, più mia di prima, immeritata, spesa.
Si tratta di pochissime e
rapide pagine, in tutto trentasei, ma dense e pregne di ricordi e di
vissuto carismatiche e affascinanti, scritte con la semplice maestria
del grande Erri De Luca.
Alessandra Liscia
Alessandra Liscia
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