Il codice della vita
di Bernardino Fantini
Fabrizio Rufo
Editore Donzelli, SAGGINE
pp. 152
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Il libro di Fantini e Rufo riesce nell'impresa non facile di divulgare la storia della genetica, da Mendel al progetto genoma, senza banalizzare non solo le tappe fondamentali di questo percorso ma proponendo in modo essenziale le problematiche etiche ad esso connesse.
Si comincia dagli esperimenti di Mendel in campo botanico sui caratteri dominanti e recessivi, che appartengono ai nostri sbiaditi ricordi scolastici, per poi ripercorrere in modo efficace le tappe di quella che gli autori chiamano a ragione una "rivoluzione", «segno della profonda discontinuità che si è verificata nella storia della scienza».
Nel 1900, la riscoperta delle memorie scientifiche di Mendel ad opera di Bateson porterà alla teoria cromosomica di Morgan e al concetto di gene, che è un
Ampio spazio viene dedicato alla scoperta della doppia elica, da parte di James Watson e Francis Crick. Ho molto apprezzato la citazione del libro What is life di Erwin Schrödinger, lettura illuminante per Crick, che testimonia come ilcambio paradigmatico della biologia ne Novecento, debba essere inquadrato in un contesto piùampio, di un cambiamento paradigmatico che coinvolse altre discipline, in primis la fisica, con la svolta quantistica.
Il premio Nobel dato a Watson e Crick nel 1962 testimonia la trionfale assunzione del modello della doppia elica come spiegazione del segreto della vita:
Fin dagli anni '70, fu chiaro che questa rivoluzione non sarebbe rimasta nelle aule universitarie, né avrebbe avuto uno sbocco solo conoscitivo. La genetica si impose subito come una risposta al sogno baconiano del "sapere è potere". L'applicazione pratica della genetica si traduce nel sogno noto come Progetto genoma umano, ossia l'idea di sequenziare l'intero genoma.
Il capitolo Riscrivere il genoma si occupa dei rischi legati alla genetica, che possono condurre ad una eugenetica. IL punto che gli autori mettono in luce, come una linea di demarcazione, è il principio etico di inalterabilità del genoma umano, concepito come patrimonio comune dell'umanità (secondo la Convenzione di Oviedo e la Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani dell'Unesco).
Come ogni questione etica fondamentale, anche questa si dibatte tra due giuste esigenze: liberare l'umanità dalle patologie che la affliggono e, dall'altra parte, non alterare il patrimonio genetico umano con innesti animali, che potrebbero condurre ad esiti imprevedibili da "apprendisti stregoni".
L'idea che la scienza non sia una questione di pochi, di maghi della provetta, è lo spirito informatore de Il codice della vita, e lo rende una lettura piacevole e istruttiva.
Deborah Donato
«concetto unificante: in quanto corpo materiale, probabilmente a livello molecolare, necessita di studi chimici e fisici, richiede l'unione fra citologia, biochimica e biofisica; in quanto "motore" della dinamica cellulare, richiede l'unione fra citologia, embriologia e fisiologia cellulare; in quanto causa di piccole modificazioni sul fenotipo, rigidamente riproducibili nei processi ereditari, diviene il punto di contatto, finalmente ritrovato, fra genetica e teoria darwiniana dell'evoluzione» (pp. 22-23).Il gene diventa quindi una sorta di clavis universalis, in grado di rispondere a due esigenze: la stabilità della struttura materiale (una sorta di mattoncino elementare della vita) e la straordinaria variabilità della sua mescolanza con altri geni. In tal modo, il gene diviene l'atomo della biologia, pur aprendo ad una complessità che rivelerà presto la sua applicabilità teorica e pratica. Il carattere di clavis universalis del gene fa in modo che la biologia diventi una disciplina aperta alla contaminazione continua con altre discipline: la fisiologia cellulare, la chimica, la teoria della informazione e la linguistica. Proprio quest'ultimo aspetto contiene il carattere rivoluzionario del "codice della vita": la vita inizia ad essere pensata come informazione, come messaggio, come codifica e decodifica.
Ampio spazio viene dedicato alla scoperta della doppia elica, da parte di James Watson e Francis Crick. Ho molto apprezzato la citazione del libro What is life di Erwin Schrödinger, lettura illuminante per Crick, che testimonia come ilcambio paradigmatico della biologia ne Novecento, debba essere inquadrato in un contesto piùampio, di un cambiamento paradigmatico che coinvolse altre discipline, in primis la fisica, con la svolta quantistica.
Il premio Nobel dato a Watson e Crick nel 1962 testimonia la trionfale assunzione del modello della doppia elica come spiegazione del segreto della vita:
«Questo modello è straordinario nella sua eleganza e semplicità, e rapidamente diviene il simbolo stesso, l'icona della nuova disciplina e dell'intera biologia: è immediatamente accolto e fatto proprio dalla comunità scientifica, molto prima della disponibilità di evidenze inconfutabili sulla sua correttezza. Se in passato tutti avevano parlato della grande complessità che caratterizza la base materiale del gene, la doppia elica è costruita con poche e lineari regole da cui è possibile dedurre l'intero meccanismo della replicazione genetica e della mutazione» (pp. 46-47).Questo modello, che pensa la vita come un codice, coniuga come dicevo la regolarità della struttura, quindi la stabilità, con l'infinita variabilità delle basi complementari, che ne garantisce la varietà indispensabile al materiale genetico. Ciò ha inoltre consentito una innovativa fusione tra la biologia e chimica, unificate da un unico linguaggio.
Fin dagli anni '70, fu chiaro che questa rivoluzione non sarebbe rimasta nelle aule universitarie, né avrebbe avuto uno sbocco solo conoscitivo. La genetica si impose subito come una risposta al sogno baconiano del "sapere è potere". L'applicazione pratica della genetica si traduce nel sogno noto come Progetto genoma umano, ossia l'idea di sequenziare l'intero genoma.
«Il nuovo millennio si apre dunque con la promessa di una nuova dimensione della conoscenza genetica, quella dell'intero genoma degli organismi e della sua interazione con l'ambiente (epigenomica). Centrale in questo sviluppo, al tempo stesso teorico e tecnologico, resta il concetto di informazione, portata dalla sequenza lineare delle "lettere" organizzate in un libro". La iosfera si configura come un'immensa biblioteca di libri diversi, ma con molte "pagine" in comune, dato che ogni organismo fa parte della catena evolutiva e condivide dunque molti dei geni selezionati nel corso di un luno periodo di tempo» (p. 87).A questo punto, gli autori non nascondono la testa sotto la sabbia e affrontano con chiarezza quanto delicate siano le implicazioni etico-sociali di questa mappatura genetica dell'uomo e delle altre specie viventi. La conoscenza del DNA di un individuo può portare a una sua discriminazione e a limitare fortemente la sua libertà personale. Se è vero che il sogno del progetto genoma umano è stato per lo più declinato con finalità mediche (si pensi al nostro Dulbecco e alle applicazioni della genetica per la terapia del cancro), è pur vero che l'entusiasmo legato a queste ricerche - e ai loro esosi finanziamenti - dimentica o trascura i fattori ambientali ed educativi che soggiacciono alla formazione di un individuo. L'essere umano, in altri termini, non può essere considerato una entità interamente "programmata" dalla sua doppia elica. Questo punto emerge con forza dal testo in questione e ciò costituisce un altro dei suoi pregi.
Il capitolo Riscrivere il genoma si occupa dei rischi legati alla genetica, che possono condurre ad una eugenetica. IL punto che gli autori mettono in luce, come una linea di demarcazione, è il principio etico di inalterabilità del genoma umano, concepito come patrimonio comune dell'umanità (secondo la Convenzione di Oviedo e la Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani dell'Unesco).
Come ogni questione etica fondamentale, anche questa si dibatte tra due giuste esigenze: liberare l'umanità dalle patologie che la affliggono e, dall'altra parte, non alterare il patrimonio genetico umano con innesti animali, che potrebbero condurre ad esiti imprevedibili da "apprendisti stregoni".
«Quello che dobbiamo chiederci è: Davanti al progresso della scienza, abbiamo degli obblighi morali? Quanto e fino a che punto il valore della conoscenza può guidare ogni scelta presa in laboratorio?» (p.99).Il testo non dà, a mio avviso giustamente, una risposta a questi interrogativi, ma esprime l'urgenza che la politica lo faccia, nella convinzione che le questioni poste «non possono essere fatte rientrare esclusivamente nella sfera soggettiva e privata del singolo ricercatore, della sua razionalità e delle sue scelte morali» (p. 149).
L'idea che la scienza non sia una questione di pochi, di maghi della provetta, è lo spirito informatore de Il codice della vita, e lo rende una lettura piacevole e istruttiva.
Deborah Donato