"Geoanarchia" di Matteo Meschiari: pensare e praticare paesaggi per fare resistenza ecologica

Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica
di Matteo Meschiari
Armillaria (collana I Cardinali), 2017

pp. 148
€ 12.00 (cartaceo)
€ 4.99 (ebook)




In questa singolare raccolta di brevi saggi edita da Armillaria, Matteo Meschiari, antropologo e scrittore, dà spazio – e la spazialità, non c'è dubbio, è qui categoria fondamentale – ad alcuni assunti che, più che costituire un manifesto di "resistenza ecologista", vogliono delineare un metodo. Quella rappresentata dall'autore è infatti una via cognitiva in grado, alle soglie del disastro ambientale, di indirizzarci all'unico atto rivoluzionario possibile: andarsene, errare, pensare paesaggio, riallineare corpo e pensiero, evadere in virtù dell'uno e dell'altro, rimettere in gioco la nostra coscienza – fisica e immaginifica – della terra. Ed è la scrittura stessa a procedere (complice la sua natura composita, edificata su uno scheletro di appunti e annotazioni), nell'arco di queste pagine, secondo dinamiche raminghe e attraverso percorsi inusuali, quasi cercasse di ricalcare le dinamiche del passo-pensiero lungo i pieni e i vuoti di una scogliera durante la bassa marea, o attraverso i metamorfici passaggi che si aprono nel sottobosco, adeguando il ritmo del dettato alla materia trattata e rendendolo duttile ed essenziale strumento nelle mani dell'autore.

Piuttosto che confezionare verità e distillare soluzioni, Meschiari regala alla pagina la proposta di un criterio per smarcarsi da un sistema (sociale, politico, economico) in cui critici e detrattori si configurano come bug da esso previsti, al fine di riappropriarsi delle immagini sottraendole a nessi concettuali asfittici e riportandole alla propria genuina dimensione di spazializzazioni di idee; egli ci porta a spasso sui sentieri percorsi assieme al walking artist Hamish Fulton e ci conduce a ricalcare le orme dei geografi anarchici Élisée Reclus e Pëtr Alekseevič Kropotkin; traccia agili parallelismi tra il movimento nello spazio, il ragionamento e il suo farsi testo; snoda la propria riflessione ad anatomizzare il rapporto tra l'uomo e lo spazio naturale.
Tra le sue pagine più appassionate vi sono quelle, militanti, contenute nel capitolo Geoanarchia:
Andare via, uscire, significa ripensare alla base tutta l'anarchia. O meglio, significa buttarla alle ortiche. Continuare a criticare cose come dio, padrone e stato significa modellare i propri pensieri su un'idea di dio, di padrone e di stato che esiste solo nella testa della gente. Significa essere cera in un calco di ferro. Ci vuole qualcosa di completamente diverso, qualcosa di così diverso che tutti i nostri spauracchi appariranno davvero tali, svergognando come un gioco da dopocena le nostre appassionate dispute politiche. Non si deve mai accettare la lotta intellettuale, la lotta politica, la lotta ideologica, non bisogna mai pensare a contrario, perché significa rinchiudersi con le proprie mani nel vecchio anello dialettico. Bisogna pensare prima di tutto alla libertà in sé, a una sorgente esterna, radicata nell'Altrove, in qualcosa che non è solo a-statale, a-sociale, an-archico, ma che è addirittura inumano. Questo Altrove è la terra.
Parlo della terra senza miti ambientalisti, senza romitaggi reazionari nei paesaggi dell'anima e della memoria. Parlo della terra nuda, la più nuda possibile, della materia e delle sue tessiture, del terreno sotto i piedi, sotto l'asfalto.
Terra come quella su cui si giocava da bambini e come quella che si estende tutto intorno a noi, con ritmi che l'umano non è in grado di com-prendere e sulla quale la nostra parabola non è che mera parentesi di breve durata. Terra, paesaggio che, preso in considerazione non solo come fine ma anche come norma, condotta da praticare, è in grado di insegnare moduli cognitivi ormai rimossi e di cui è possibile rientrare in possesso camminando, immaginando, osservando le sue più intime tessiture, ascoltando, toccando. "Tutti i veri principi dell'anarchia sono già nella terra", ci avvisa Meschiari: la vera anarchia non è storica, è geografica, la vera rivoluzione parte dall'accogliere quella che serenamente e perpetuamente ha luogo nella natura, e ha dunque principio nelle possibilità del nostro sentire; essa ci attende nel sentiero appena fuori dall'abitato.

Viene da pensare a Gaber quando, nel testo di quella magnifica e tanto travisata canzone politica che fu L'impotenza, diceva: "Imparare a sentire il presente / in un tempo così provvisorio /esser giusti su un metro di terra / sentire che il corpo è in perfetto equilibrio.", per poi continuare mestamente: "Peccato io non so mangiare / peccato io non so dormire /non so camminare in un prato / non so neanche amare, peccato."

Rarefatto punto di incontro tra riflessione estetica e politica, Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica è corredato da 14 splendide tavole dell'artista Claudia Losi, quasi a spostare il focus su un diverso punto del limite, un differente oltre-umano, quello animale, che, anche se nel libro non viene affrontato, fa parte di un percorso di indagine che si dispiega oltre le pagine e a cui questa pubblicazione fa da premessa e invito.
In tempi in cui una proliferazione di nuove idee e ideologie cerca di rispondere maldestramente alla crisi ecologica mondiale e a quello che percepiamo come logorio dei valori, la freschezza delle parole di Meschiari ci riporta con ferma lucidità a fare il punto della situazione, ripartendo  dal nostro essere e sentire (nel)l'ambiente (e la prima tecnica di resistenza ecologica probabilmente risiede nel porci scomodi quesiti sulle ragioni dell'accresciuta impermeabilità dei nostri sensi), e lo fa col fascino di un Thoreau postmoderno, che come nelle migliori pagine di Walden ci prende per mano lungo questo cammino selvatico, che rifugge le identificazioni e si prefigura quale lettura più da respirare e da vivere che da tenere addormentata sul comodino, che ci spinge ad affilare il pensiero e ci offre occhi nuovi per affrontare il mondo in cui ci muoviamo.



 Nike Gagliardi