di Jo Nesbø
Einaudi, 2013
Traduzione italiana di Maria Teresa Cattaneo
pp. 293
€ 18
Roger Brown lavora per Alfa, una società norvegese di selezione
del personale. È un cacciatore di teste, cinico e privo di qualsiasi
coinvolgimento emotivo; dall'alto (o dal basso?) del
suo metro e sessantotto vuole essere il più bravo: non si tratta
solo di lavoro, ma di vincere ed in effetti è il migliore nel
suo mestiere ed emana un fascino da predatore. Distaccato, guarda con ironia il mondo dell'alta società
norvegese che frequenta con la moglie Diana, proprietaria di una
galleria d'arte (pagata da lui per senso di colpa dopo averla
convinta ad abortire). Oltre che scrutatore di top manager, Roger è un ladro di quadri,
sottratti proprio dalle case dei ricchi che incontra grazie al suo
lavoro.
Quando incontra Clas Greve, capisce subito che è l'uomo perfetto
per il posto di amministratore delegato di un'azienda di gps e
tecnologia satellitare sua cliente. Non solo: casualmente scopre che
l'olandese è in possesso di un quadro rarissimo di Rubens;
l'occasione che Roger aspettava da tutta la vita per un ultimo colpo
definitivo che lo sistemi per sempre.
Se la trama così descritta sembra quella classica di un thriller,
lo stile e i dettagli che pian piano emergono tingono il tutto con
tonalità differenti. Il romanzo infatti ha una forte vena comica: le
preoccupazioni per i soldi spesi dalla moglie che ignora la loro
situazione finanziaria, unite al tentativo di non farle trasparire a
Diana, ad esempio, incrinano l'uomo tutto d'un pezzo, padrone di sé
e del mondo, con risvolti decisamente divertenti. Quando poi racconta
l'episodio "bagnato" di un incontro amoroso con Lotte (la sua unica amante) è
impossibile non ridere.
Lentamente scopriamo il gioco di Nesbø: inserire nella storia di
questo apparentemente controllatissimo truffatore delle crepe sottili
che diventeranno sempre più grandi e ingestibili. L'assoluta novità è Clas Greve:
egli sembra leggere il protagonista come un libro aperto,
smascherando le sue tecniche di interrogatorio che usa nei colloqui e
ponendolo per la prima volta sulla difensiva. Quando poi scoprirà la
relazione adulterina della moglie proprio con il potenziale
amministratore delegato la caduta ha inizio.
Forse anche grazie al tono leggero della voce in prima persona,
Roger Brown più che lo squalo che ci aveva detto essere all'inizio
sembra uno schlimazel, termine yiddish per designare una vittima
comica del destino, cui tutto va male, un personaggio che non
sfigurerebbe in un film dei fratelli Coen.
Poco prima della metà del libro, l'atmosfera finora lieve
acquista tinte thriller più forti: nella sua auto parcheggiata nel
garage di casa Roger trova il cadavere del complice con cui ruba i
quadri. Non svelo cosa gli è successo, perché è un ottimo colpo di
scena (doppio, per esser precisi) che costituisce la vera svolta del
romanzo. Da qui in poi Brown, eroe solitario, lotterà per
sopravvivere e annientare il nemico prima che questi faccia
altrettanto.
Quello che per altri poteva essere il finale risolutivo
dell'intreccio, per lo scrittore norvegese è invece solo l'inizio di una
serie di vicende rocambolesche. Nesbø è bravo a giocare col lettore: non si capisce se
l'assurdità delle situazioni in cui precipita il protagonista siano
frutto di una serie di giganteschi malintesi e interpretazioni
sbagliate o se davvero Roger si trova coinvolto in qualcosa di enorme di
cui non aveva previsto le conseguenze.
Il cacciatore di teste dimostra come si possa ancora essere
originali nel costruire trame di genere: l'autore ha una creatività
eccezionale e una scrittura molto scorrevole; il suo protagonista,
che racconta le proprie disavventure in prima persona, mantiene anche
quando è più difficile uno stile ironico (che stempera alcune scene
pulp) ed elegante.
In definitiva, un libro da leggere, che riserva sorprese grandiose
e bellissime sino al finale, unione perfetta delle due forze su cui
si è retto il libro: comicità e azione. Riuscirà lo sfortunato
Roger a riscattarsi, quando questa incredibile storia lo avrà
portato tanto vicino alla morte da dover agire con spietato sangue
freddo per salvarsi?
Nicola Campostori