Il giardino della mente
di Emily Dickinson
a cura di Silvio Raffo
testo inglese a fronte
La Vita Felice, 2017
pp. 185
€12,50
Nell’empatica introduzione al volume, il curatore Silvio
Raffo definisce Emily Dickinson «la più pura vestale della
lirica metafisica d’Occidente», e insistendo sull’«esercizio ascetico»,
sull’«attitudine alla contemplazione, all’interiorità dello sguardo» della
poetessa di Amherst, propone una scelta di versi focalizzati sull’illuminazione
estatica, sul superamento del dato empirico nella visione di una verità
trascendente e atemporale:
la gioia di sfiorire –
è per me sufficiente –
sfiorire
io – svanire nel Divino
e morire per tutta la vita
fin dove l’occhio giunga
–
anche avendo soltanto
l’infima sua attenzione.
Un’estrema
umiltà, in Emily, che a trent’anni si recluse volontariamente nella propria
stanza, vestendosi solo di bianco e limitando i propri rapporti sociali alla
famiglia e a una fitta corrispondenza epistolare con pochi amici: l’umiltà di
chi si sa creatura mortale, effimera, transitoria nella sua fisicità: «Fu la
mia sola gloria – / lascia che / sia ricordata: / io appartenni a Te», «Ho
paura di possedere un corpo – / ho paura di possedere un’anima – / profonda ma
precaria proprietà, / possesso non richiesto», «Indifferente sono a ogni
tortura – / la mia anima è libera. / Dietro questa mortale trama d’ossa /
un’altra vi s’intreccia ben più forte».
La
stessa modestia che la convinse a tenere chiuse nel cassetto 1775 poesie,
pubblicate solo dopo la sua morte dalla sorella Lavinia: una discrezione
consapevole tuttavia della propria irriducibile unicità, dignità e forza.
Ostacolarmi
non può la montagna –
non il mare –
Chi è il Baltico? –
Chi Cordillera?
Alla
sua ricchissima sensibilità interiore corrispose sempre in Emily Dickinson una
«singolare capacità visiva… un’attenzione dello sguardo» rivolto non tanto alle
persone e alle loro trascurabili vicende umane, quanto al paesaggio naturale,
all’avvicendarsi delle stagioni, ai fiori e ai piccoli animali, messaggeri di
bellezza e di gratuità felicità: «Ho un uccellino in Primavera / che per me
sola canta», «Questa piccola rosa nessuno la conosce. / Potrebbe essere una
pellegrina / se non l’avessi tolta ai suoi sentieri / e serbata per te», «Quanti
fiori appassiscono nel bosco / e rovinano giù dalla collina / senza la grande
gioia di sapere / che sono belli –», «L’Aria non ha dimora, né vicini / non
orecchie, né porta / non timore d’estranei – / Aria felice!», «I graziosi
inquilini dei boschi / da amica mi ricevono. // Più forte ridono i ruscelli
quando arrivo – / più sbarazzine giocano le brezze; / perché il tuo argento mi
annebbia la vista, / perché, giorno d’estate?».
Degli
esseri umani sembrava interessarle soprattutto il momento del trapasso, la pace
raggiunta nell’ immobilità eterna della morte, il transumanarsi in una
spiritualità libera da ancoraggi terrestri: così dedicò splendidi versi al
sonno «lieve e profondo» di una piccola compagna di scuola, e a una «massaia indolente» che giaceva immobile tra
le margherite. Addirittura descrisse sé stessa nel dopo, in una premonizione
del misterioso passaggio all’Infinità, sicura che «l’orrendo chiodo» non
sarebbe stato per sempre e che
C’è un altro cielo,
sempre limpido e bello,
e c’è un altro rilucere di sole,
anche se è fitta, lì, l’oscurità.
Alida Airaghi