L’incontro
di Michela Murgia
Einaudi, 2012
pp. 107
Euro 10,00
Già pubblicato in una prima versione come allegato del “Corriere della Sera” nella collana Inediti d’autore, e poi proposto in seconda stesura da Einaudi in qualità di romanzo (romanzo breve, o meglio ancora racconto lungo), L’incontro di Michela Murgia è una piccola summa di alcuni tra i temi evidentemente più cari all’autrice: su tutti, quello dell’arbitrarietà dei legami interpersonali, tanto più importanti e determinanti quanto più sciolti da vincoli genealogici, ovvero conseguenze di scelte precise dei singoli o di slanci comunitari capaci di includere o escludere con la stessa intensità.
Anche Maurizio, il piccolo protagonista di questa storia, ne fa esperienza tutte le volte che trascorre le vacanze a casa dei nonni, nel paese di Crabas. Qui, finalmente lontano da una coppia di genitori loro malgrado ottusi dal troppo lavoro, non c’è traccia della solitudine che lo vince durante l’anno scolastico, passato diligentemente a fare i compiti e a contrastare la noia pomeridiana. Qui può condividere l’esperienza fondativa del “gioco insieme” con i coetanei, e sperimentare in prima persona quanto il sangue che scorre da un ginocchio sbucciato di un amico possa essere più indelebile e più determinante di quello che per nascita gli attraversa il corpo.
A Crabas, da soli, semplicemente non si esiste, non si è: il “noi” è il pronome d’elezione, e vale sia per la quotidianità degli anziani che ogni sera si radunano fuori dalle case a raccontare storie inquietanti, sia per quella dei ragazzini, chierichetti che passano con innocenza dal servizio della messa a prove di coraggio e piccoli atti di involontario teppismo. Come nella celebre aria ghershwiniana, anche a Crabas, soprattutto d’estate, la vita è facile. Finché a rompere gli equilibri e a minacciare la compattezza di una comunità che si era sempre ritrovata attorno all’unica chiesa esistente non arriva proprio la fondazione di una nuova parrocchia: così, ciò che per messaggio e per dottrina dovrebbe unire, nella percezione generale diventa causa di una vera e propria disamistade tra rioni, le cui sorti si ritroveranno tra le mani – meglio: sulle spalle – di imprevedibili pacieri.
A Crabas, da soli, semplicemente non si esiste, non si è: il “noi” è il pronome d’elezione, e vale sia per la quotidianità degli anziani che ogni sera si radunano fuori dalle case a raccontare storie inquietanti, sia per quella dei ragazzini, chierichetti che passano con innocenza dal servizio della messa a prove di coraggio e piccoli atti di involontario teppismo. Come nella celebre aria ghershwiniana, anche a Crabas, soprattutto d’estate, la vita è facile. Finché a rompere gli equilibri e a minacciare la compattezza di una comunità che si era sempre ritrovata attorno all’unica chiesa esistente non arriva proprio la fondazione di una nuova parrocchia: così, ciò che per messaggio e per dottrina dovrebbe unire, nella percezione generale diventa causa di una vera e propria disamistade tra rioni, le cui sorti si ritroveranno tra le mani – meglio: sulle spalle – di imprevedibili pacieri.
Michela Murgia ci riporta nella Sardegna della metà degli anni Ottanta per raccontarci una storia che non solo potrebbe benissimo accadere ancora oggi, ma che può essere considerata un’efficace cartina di tornasole della nostra contemporaneità culturale e religiosa, costretta troppo spesso a fare i conti con la questione identitaria nel suo senso più drammatico, ovvero quello oppositivo-esclusivo. Ma come suggerisce l’immagine di copertina, è la prospettiva “ad altezza di sedere” dell’infanzia – o forse, simbolicamente, della sua fine, data l’età prepuberale di Maurizio e dei suoi compagni – a offrire visioni (e soluzioni) non più contemplate dagli adulti: forse, se affidato alle dita di una saggezza bambina, il tempo dell’incontro - di qualsiasi incontro - non potrà che essere sempre tempo di pace.
Cecilia Mariani
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