di Rosario
de Meo
GAEditori,
2017
pp. 187
€16
L’esordio letterario di Rosario
de Meo (classe 1971) non può passare inosservato. Prima di tutto perché il suo
primo romanzo, Il valzer sull’orlo del pozzo, è un libro in cui è
facile riconoscersi, che dà voce alle incertezze e alle paure di tutti quei
giovani adulti in cerca del proprio posto nel mondo; in secondo luogo,
perché Il valzer sull’orlo del pozzo è un libro ben scritto, che
si legge con grande piacere, che coinvolge ed emoziona.
Il romanzo narra la storia di
Cesare, venuto al mondo in un giorno di pioggia del 1973 in un piccolo paese di
nome Inverno. In questo luogo-culla, abitato da gente semplice e al riparo dal
trambusto urbano, Cesare trascorre un’infanzia serena, circondato dall’amore
della sua famiglia: una madre domestica, un padre operaio, una nonna dal
carattere stravagante che inneggia alla vita e veglia con apprensione sul
futuro del nipote. Ad Inverno il tempo
scorre lentamente e i continui mutamenti di fine secolo tardano a manifestarsi:
è un luogo ideale per assaporare piccole scoperte e semplici gioie quotidiane, un
luogo in cui Cesare può ampiamente esprimere la sua sensibilità ed esercitare,
giorno dopo giorno, la sua immaginazione.
Col passare degli anni, però, complice
l’ambiente ovattato nel quale è cresciuto e a cui si sente indissolubilmente
legato, Cesare cambia, si trasforma: il bambino
vivace e sensibile lascia il posto ad un adolescente introverso, incapace di
reagire agli stimoli esterni e paralizzato dalla paura del cambiamento. Intorno
a lui gli amici di sempre intraprendono nuove strade, cose e luoghi acquisiscono
un nuovo aspetto; Cesare, invece, pervaso da un sentimento misto di
nostalgia e di impotenza, rimanda ogni nuova decisione e lascia naufragare ogni
nuovo rapporto.
Suo unico alleato in questa titanica
lotta contro il tempo è Merlino, un antico pozzo il cui risveglio è coinciso
con la nascita di Cesare.
Quando mio padre e mio nonno materno andarono a festeggiare al bar la mia nascita, non si resero conto che la vita aveva invaso il pozzo. L’ortica che lo circondava era scoparsa, come se il cielo invece di pioggia avesse pianto acido e al suo posto erano sbocciati piccoli fiori gialli a forma di campana.
In questo pozzo, il personaggio di de Meo
nasconde le sue paure, i suoi sogni, le sue debolezze e le sue fragilità. È ai
bordi di Merlino che il giovane passa la maggior parte del suo tempo libero, a
specchiarsi in un passato che lo protegge, che gli ricorda chi è stato, ma che gli
impedisce di affrontare con serenità il passaggio alla vita adulta. Le
conseguenze di tale malessere non tardano ad arrivare. Lentamente, l’impotenza
si trasforma in angoscia e l’angoscia in autolesionismo, fino a quando il
giudizio degli adulti non impone a Cesare una cura drastica, nel mondo dei “diversi”.
Ora tutti dormano. La notte è scesa. Ognuno è rannicchiato con la propria anima afona, nel proprio mallo tiepido e taciturno, l’unico luogo in cui i sogni non si sgretolano in questo mondo. E mi ritrovo a pensare alla mia vita, alle scelte che ho fatto e a quelle che non ho fatto perché la paura mi ha sempre bloccato. Ho vissuto nel mondo dei cosiddetti “sani” e mi sono sempre sentito fuori luogo. Sono stato rinchiuso insieme ai “non sani” e mi sono sentito lo stesso fuori luogo. Ma allora dov’é il mio posto?
Sono questi gli interrogativi che
assillano Cesare fra le mura strette ed opache di un ospedale psichiatrico.
Qui, lontano da ogni conforto, Cesare dipana uno ad uno i ricordi della sua
vita e i volti che ne hanno fatto parte. Non è solo: intorno a lui, si aggirano come spettri ragazzi dal futuro spezzato, con i quali Cesare tesse un
rapporto di alleanza e di compassione. È un momento cruciale nella vita del
ragazzo, un vero e proprio elettroshock che gli permette finalmente di reagire e
di rimettersi in marcia: la strada sarà lunga e impervia, disseminata di
dubbi e di delusioni, ma quel che conta è avere ancora voglia di
percorrerla, armati di pazienza e di speranza.
Flavia Lucidi
Flavia Lucidi