Un complicato (f)atto d'amore

Un complicato atto d'amore
di Miriam Toews
trad. Monica Pareschi
Marcos y Marcos, 2017

pp. 288
18 €


«Ci sono tante di quelle idee perfette in questo paese, ma l'amore, come lo sballo dell'acido in confronto a un trip di erba scadente, dura più del dolore. Sì, è così. L'amore è tutto. È davvero la cosa più grande. E sono convinta che noi usiamo tutto quello che è in nostro potere, tutto quello che è alla nostra portata, per tener vivo l'amore che abbiamo provato.»
L'amore è sempre un'azione, è sempre questione di fare delle scelte.
Un'infinita serie di scelte che chi ci ama subisce, e compie. Uno scambio, una connessione continua, un modo doloroso e dolcissimo di sentirsi vivi.
Ed ha imparato presto a capirlo Nomi, la protagonista di Un complicato atto d'amore di Miriam Toews (pubblicato recentemente da Marcos y Marcos nella traduzione di Monica Pareschi), «una piccola isola di dolore» sedicenne in una piccola comunità mennonita di East Village, in Canada.
I mennoniti sono una sorta di setta ultrareligiosa che basa la propria esistenza su rigidi principi di ristrettezza: assillati dall'ansia del peccato, mortificano il presente in vista di un trionfante aldilà.
Ma è dal presente che Nomi ha un disperato bisogno di risposte.

Su dove siano ora sua sorella Tash, e sua madre Trudie. Sul perché abbiano abbandonato lei e suo padre Ray, di punto in bianco.

E come per tutte le domande davvero importanti, il problema è che la risposta è quella che sentiamo da sempre, conficcata come una scheggia nel dito, ma cerchiamo in ogni modo di ignorare. Con le armi dello stordimento, per placare l'affanno.
Nomi è un fiume in piena di pensieri, cucina pasti in ordine alfabetico, fuma una Sweet Cap dopo l'altra e comunica con suo padre tramite bigliettini lasciati sul tavolo della cucina, non crede davvero al paradiso e se ne crea ogni giorno uno artificiale, spesso non va a scuola, si rasa i capelli a zero e ascolta i vinili di sua sorella a tutto volume.
Il suo è un ciondolare da bimba sperduta nei giorni che passano, affastellati di ricordi, con la testa rivolta all'indietro.

È il personaggio principale buffo e tenerissimo, di quella che si può definire - e chiedo scusa per l'enfasi vagamente retorica - una storia struggente.

Miriam Toews è una scrittrice che affonda le mani nelle sue radici e porta alla luce un tesoro di storie che rielabora con un'umanità e una sensibilità in grado di non affogare mai nel patetismo.
Semmai è la forza disperata dell'ironia, il senso delicato nel restituire l'equilibrio di uno sguardo fin troppo acuto, che dà ai suoi libri una temperatura emotiva stupefacente.
Miriam Toews è una di quelle scrittrici che vorresti abbracciare una volta finito il libro (una sensazione che avevo già avuto, fortissima, con I miei piccoli dispiaceri, di cui parliamo qui, un libro che ti fa ridere e piangere tantissimo allo stesso tempo).
E una di quelle scrittrici che, mentre ci scambi due battute imbarazzate - perché a una che ha scritto quelle cose lì, soprattutto se sai che fanno parte anche del suo vissuto personale, che cosa vuoi dirle, di sensazionale?- ti guardano con due occhi dolci e tristi e intelligenti e rispondono al tuo grazie con “E io ringrazio te che mi hai letto. Vedi? Abbiamo semplicemente bisogno l'una dell'altra”. Uno splendore.

Mi è capitato anche di sentirla leggere alcuni passi di questo libro ai Frigoriferi milanesi, martedì 23 maggio scorso, in una serata organizzata dalla sua casa editrice italiana, Marcos y Marcos (che ora ha riunito l'intero catalogo, con questa che è in realtà è una ripubblicazione di Un complicato atto d'amore, uscito la prima volta nel 2004 per Adelphi), e anche lì, aveva esattamente la voce che avresti immaginato ti potesse raccontare una storia come quella di Nomi e della sua famiglia.

È un peccato raccontarlo, questo libro.
Perché niente di quello che ne si potrebbe dire restituisce l'esatta sensazione del piccolo miracolo che senti accadere dentro di te mentre lo leggi. Che appena finito vorresti quasi chiamare tutti i numeri della tua rubrica, fino ad arrivare pure agli amichetti dell'asilo, per dire "Senti, devi leggerti questo libro, assolutamente".
«Le cose che non sappiamo di una persona sono quelle che la rendono umana, mi è venuto in mente tornando dai campi, e questo pensiero mi ha resa triste, ma triste in quel modo rassicurante che ha qualche volta la tristezza, quando ci dice bentornato in dodici lingue diverse.» 

Giulia Marziali