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Abbiamo incontrato Fredrik Sjöberg in occasione dell'uscita del suo ultimo libro, nella redazione della casa editrice Iperborea, a Milano. Svedese, sulla carta d'identità biologo, una grande passione per il collezionismo, diventa conosciuto in Europa e non solo quando pubblica L'arte di collezionare mosche, nel 2015, per il Times "Nature book of the year". Dopo il primo, ha completato la trilogia sul collezionismo con Il re dell'uvetta (2016) e L'arte della fuga (2017).
Sjöberg è eccentrico e stravagante e così sono le sue opere, difficilmente ascrivibili ad un determinato genere, un po' autobiografia, un po' romanzo, un po' saggio. Una cosa però le accomuna: l'interesse la passione per gli outsider, dei quali ripercorre la vita e le esperienze e ne scrive, ma solo dopo essersi documentato a lungo, e così ha fatto per il suo ultimo libro L'arte della fuga, mettendosi sulle tracce del pittore Gunnar Widforss.
Come si sente nei confronti di questi outsider, riportandoli alla memoria di tutti e rendendoli famosi?, gli chiediamo, e ci risponde che "da una parte crede di far loro un favore, rendendoli famosi, ma dall'altra si sente in imbarazzo andando a intromettersi nelle loro faccende private, leggendo lettere". Ma è così che l'autore crea le sue storie, a metà tra la divulgazione e il piacere della narrazione, curiose e atipiche. Con lui entriamo nella sua officina di scrittura, e ci racconta quali passi segue nella creazione delle opere. Anzitutto si informa tantissimo, passa anni a reperire testimonianze, anche fisiche e private, degli outsider che vuole rendere protagonisti dei suoi libri. Parla di una vera e propria "caccia", fase che adora perché si sente libero, mentre odia la fase della scrittura, difficile, impegnativa e meno libera. Il risultato sono stati tre libri che lui stesso intende come un unicum, "un libro in tre parti, anche se nelle librerie poi si trovano divisi, spesso in reparti diversi".
Con il primo si è occupato di un naturalista entomologo suo compaesano, nel secondo di un coltivatore di uvetta californiana e ora è la volta del "pittore dei parchi americani". Da dove nasce questa curiosità per le storie stravaganti?
"Ho lavorato per 20 anni per alcune riviste letterarie, ma siccome sono un biologo mi hanno sempre affidato dei libri particolari, con un pubblico atipico, e ho capito che i lettori non sono molto interessati ai singoli soggetti, nel mio caso agli insetti (si riferisce a L'arte di collezionare mosche, N.d.R.) ma nelle persone. Io so di scrivere per un pubblico non particolarmente interessato, così so di dover scrivere delle buone storie per non perderlo".
Non solo il contenuto delle sue opere è stravagante, ma anche lo stile, che è frizzante, ironico e asciutto, tant'è che si definisce "collezionista di stili", oltre che di storie, e non crede molto alle classificazioni, a rinchiudere le persone e le storie, e quindi anche i libri, in scatole rigide e costringenti.
Fredrik Sjöberg crede nella libertà, e se essere liberi (di vivere, leggere e scrivere) significa anche correre il rischio di perdersi, non è poi così male.
Elena Sizana
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