di Mara Barbuni
Flower edizioni, 2017
pp. 180
€ 15.00 (cartaceo)
€ 7.99 (ebook)
Nel bicentenario della scomparsa di Jane Austen, non potevamo esimerci dal celebrare l’opera di una scrittrice che, a distanza di due secoli, non smette di appassionare i lettori, ispirare trasposizioni televisive e cinematografiche, riletture, progetti e studi, tra rigore accademico e cultura pop.
Tra le pubblicazioni recenti dedicate alla figura e all’opera letteraria della scrittrice inglese, di particolare interesse risulta il breve saggio Le case di Jane Austen, di Mara Barbuni, traduttrice, docente e studiosa della letteratura inglese di Ottocento e primo Novecento. Dopo il puntuale lavoro di traduzione su alcuni dei testi più importanti di Elizabeth Gaskell (Nord e Sud, Mogli e figlie, Gli innamorati di Sylvia, tutti editi da Jo March) e i saggi dedicati alla vicenda biografica e letteraria della scrittrice di Manchester (Sui passi di Elizabeth Gaskell, sempre per Jo March, ed Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana, per Flower edizioni), solo per citare alcune fra le pubblicazioni recenti di Barbuni, è da poco tornata in libreria con questo saggio incentrato sul ruolo della casa nell’opera letteraria di Jane Austen.
L’autrice indaga diversi aspetti della domesticità nei romanzi canonici di Austen, scegliendo anche in questo caso una chiave di lettura che permette di compiere un itinerario intimo e sociale insieme da Northanger Abbey fino ad Emma. Ciò che personalmente apprezzo sempre in maniera particolare della scrittura di Barbuni, è la capacità di coniugare il rigore accademico con la passione, la curiosità della lettrice, e il desiderio di comunicare con il lettore, anche quello meno esperto, grazie ad una prosa puntuale ma scorrevole. Brevi saggi, ricchissimi di spunti, corredati di adeguato apparato critico bibliografico e note, godibili da un pubblico specialistico quanto da un lettore curioso, in cui Barbuni sceglie di volta in volta un punto di osservazione preciso per costruire un percorso di lettura interessante e ricco. Nel saggio in questione, dedicato come si è detto al ruolo centrale della casa nell’opera di Jane Austen, l’autrice ci accompagna in un viaggio letterario appassionato e puntuale insieme, tra romanzi e trasposizioni cinematografiche e televisive, dimostrando pagina dopo pagina le doti di osservazione che dovrebbero essere prerogativa di ogni lettore “serio”, di chi non si limiti cioè a lasciarsi trasportare dalla trama ma sappia cogliere i riferimenti, il sottotesto, gli elementi strutturali, i piccoli fondamentali particolari che compongono una storia. È, in questo senso, un invito ad una lettura più ragionata ed approfondita, che possa restituire tutta la complessità e la bellezza di un classico come la narrativa austeniana.
Un viaggio che idealmente inizia nel cottage di Chawton, l’ultima dimora terrena di Jane Austen, in cui si era trasferita nel 1809 insieme alla madre e alla sorella Cassandra e da dove i romanzi, amatissimi generazione dopo generazione, hanno preso la forma che oggi conosciamo:
Questo luogo, che fu la sua ultima casa, è intimamente legato alla sua carriera di scrittrice, perché qui furono ripresi e preparati per la pubblicazione Ragione e sentimento, Orgoglio e pregiudizio e Northanger Abbey e qui furono creati, elaborati e ultimati Mansfield Park, Emma e Persuasione. Il Cottage costituisce insomma il centro della sfera personale e professionale di Jane Austen ed è per questa ragione che è interessante osservarlo da vicino […].
Barbuni accompagna il lettore tra quelle mura e gli oggetti che contengono e immediatamente torniamo a quel primo, appassionato pellegrinaggio compiuto dalle sorelle Hill, a inizio Novecento, in Jane Austen: i luoghi e gli amici, alla ricerca dei segni tangibili della vita dell’amatissima scrittrice inglese e delle tracce da lei lasciate nei luoghi che l’hanno accolta. Chawton è, quindi, la dimora reale da cui iniziare il viaggio nei diversi aspetti di domesticità che caratterizzano l’opera di Austen e che, di volta in volta, assume contorni differenti.
Il ruolo di Northanger Abbey, nell’omonimo romanzo, per esempio, è funzionale alla costruzione dell’immaginario gotico su cui Austen in quest’opera ironizza, in una sorta di parodia di un genere molto in voga in epoca romantica: la dimora si caratterizza perciò di tutti quegli elementi che costituiscono lo scenario ideale della narrativa gotica di primo Ottocento. In questo romanzo, tuttavia, l'autrice non si limita a giocare con gli stereotipi di uno specifico sottogenere del novel, ma tali simboli e rimandi rappresentano lo spunto, come puntualmente osservato da Barbuni, per mettere in guardia i lettori dai pericoli di un «eccesso di immaginazione che può sfociare in in-sensibilità» nel senso di non essere più in grado di provare empatia di fronte al dolore reale, oltre le avventure e i drammi letterari.
Di tutt’altra natura Barton Cottage, il cuore di Ragione e sentimento, il romanzo in cui, osserva ancora Barbuni, la riflessione sulle condizioni finanziarie dei personaggi è evidente ed espressa in maniera diretta più che in ogni altro dei testi di Austen e che ci permette, seguendo il punto di vista adottato da questo saggio, di compiere un viaggio tra oggetti, arredi, simboli dello status e delle disponibilità economiche dei protagonisti, parallelamente alla nascita del consumismo moderno.
Si viveva insomma l’esordio del consumismo di massa, e Jane Austen, quale attenta interprete della sua epoca, non mancò di sottolineare anche questa rivoluzione culturale”
Ragione e sentimento da rappresentazione, inoltre, di un tema con cui l’autrice stessa si è dovuta confrontare, ossia la perdita della casa: l’instabilità economica, la condizione di nubile in una società in cui alle donne sono negati – tra gli altri – diritti di proprietà ed ereditari, significa in molti casi simili dover abbandonare la casa nella quale si è cresciute e ricominciare altrove, in dimore magari più modeste, ossessionate dallo spauracchio di rimanere prive di mezzi e protezione, di una casa in cui vivere:
In Ragione e sentimento il significato della domesticità è essenziale. Ritrovarsi senza casa era la prospettiva più oscura e spaventevole che le donne potessero figurarsi – un’idea che spesso le induceva a sposare anche uomini di cui non erano innamorate.
Ed è evidente nei romanzi in questione come, nella realtà del tempo, il mercato matrimoniale fosse in molti casi dominato più da ragioni economiche che puramente sentimentali: non stupisce, quindi, l’abbondanza di dettagli sul patrimonio dei gentiluomini che popolano le storie di Austen, le riflessioni talvolta amare su differenze di classe e possibilità. Come non stupisce, in quest’ottica, l’istinto della scrittrice di costruire almeno per le sue eroine il “perfetto” happy ending che forse a lei era stato negato, in un mondo, in una società, troppo cinica per un’anima romantica.
L’analisi di Barbuni si sofferma poi lungamente su uno dei più celebrati romanzi di Austen, Orgoglio e pregiudizio, e sul ruolo di Pemberley, la bellissima dimora del protagonista maschile, Mr Darcy che, similmente a quanto sarà per Downell Abbey (Emma) e il suo proprietario, Mr Knightley, dimostra la stretta relazione che intercorre tra le abitazioni e l’identità, l’io più intimo e la casa. Ed è anche per questo che la visita di Elizabeth Bennet a Pemberley assume un valore cruciale nel corteggiamento tra la giovane e l’affasciante Mr Darcy: conoscere la casa significa in qualche modo scoprire l’uomo, «perché la dimora è espressione dell’interiorità di chi la possiede».
È questo uno degli aspetti più interessanti del saggio di Barbuni, che non si limita a comporre un affresco degli spazi entro cui le vicende di Emma, Elizabeth, Fanny e le altre eroine austeniane si sviluppano: no, la casa diviene il mezzo per cercare di comprendere meglio dinamiche sociali, schemi e ruoli comportamentali di quel mondo che Austen ha saputo imprimere perfettamente sulla pagina, uno spaccato sociale in cui le abitazioni, gli oggetti, i rituali compongono un dipinto privato ma anche sociale e politico. E, soprattutto, sottolinea lo stretto legame che intercorre fra spazio e coscienza, tra individualità ed ambiente. Ecco, quindi, che Pemberley È Mr Darcy, come Downell Abbey rappresenta la «perfetta aderenza fra i tratti morali e sociali dell’uomo e la forma e la consistenza stessa della sua casa». O, ancora, il luogo in cui cercare di imprimere qualcosa di sè, sentirsi parte di una famiglia, accettata, come tenta di fare Fanny (Mansfield Park):
Il rapporto che Fanny intrattiene con gli ambienti e con le cose appare investito di una forte valenza psicologica, perché la ragazzina, mandata via di casa da piccola dai genitori, incapaci di sfamare tutti i loro figli, si sforza di imprimere il proprio io nello spazio d’elezione che la circonda e contemporaneamente colleziona gli oggetti un tempo appartenuti ai cugini per tentare di stabilire con i Bertram una relazione emotiva altrimenti inesiste.
Ecco, quindi, che la casa, la domesticità, assume un ruolo centrale nella narrativa austeniana: è una finestra sul mondo evocato dalla scrittrice, i legami, le relazioni, la sociability e, soprattutto, sull’anima dei suoi personaggi. Una chiave di lettura interessante, lo spunto ideale per rileggere i romanzi di Austen e lasciarsi conquistare, ancora una volta, da quello spaccato di mondo e di vita che ha saputo tanto sapientemente evocare sulla pagina.
Di Debora Lambruschini