Molti anni fa l’editore francese Gallimard decise di pubblicare nella «Sèrie noire» l’Edipo re di Sofocle. Rimane, quella, una delle più pregiate e popolari edizioni (in Francia) della tragedia sofoclea. Più o meno nello stesso periodo, Albert Camus scriveva che i greci arrivavano alla disperazione passando per la bellezza; il «nostro tempo, invece, ha nutrito la sua disperazione nella laidezza e nelle convulsioni» (L’esilio di Elena). Qualche decennio dopo, più o meno a metà degli anni ‘90, Jean-Claude Izzo riprende l’edizione Gallimard di Sofocle (in cui il curatore scrive, senza vergogna alcuna, che l’Edipo re è il primo romanzo noir) e le parole di Camus per tracciare una relazione filiale tra il tragico greco e il noir contemporaneo, in particolare quello scritto sulle sponde del Mediterraneo.
Nonostante abbia pubblicamente e ripetutamente affermato che quello geografico non è un parametro utile alla definizione di un sottogenere letterario, devo ammettere però che il Mediterraneo è culla del noir moderno, e non potrebbe essere altrimenti per almeno due ragioni.
La prima: il romanzo noir non cessa di essere un romanzo, e quindi non cessa di appartenere a quella tradizione letteraria e culturale che affonda le sue radici nel Mediterraneo. Hayden White definí, nel tentativo di descrivere il discorso storico, quali furono le modalità secondo le quali viene organizzato un discorso narrativo (il raccontar storie), tra le quali nomina la tragedia, e che affondano le radici nella cultura classica, per l’appunto, mediterranea. Il noir, va da sé, si articola secondo i modi della tragedia, tanto da riproporre un schema quasi aristotelico nell’alternarsi di delitto-indagine-critica sociale. Tuttavia, come faceva notare Camus, non è il bello a condurre alla disperazione oggi, ma il brutto, le pulsioni più oscure e triviali.
La seconda: il Mediterraneo, come afferma Izzo, è stato teatro del primo vero dramma, della prima tragedia, del primo crimine esemplare della storia dell’uomo: Caino che ammazza suo fratello Abele. E, come continua Izzo, il noir non è altro che «l’accettazione fatalista di questo dramma consumatosi sulle sponde di questo mare».
Che nei noir scritti sulle sponde del Mediteraneo questo fatalismo sia più evidente è da mettere in relazione con il carattere dei popoli che vi vivono e a cui, noi scrittori di noir nati tra il Bosforo e Gibilterra, apparteniamo. Tuttavia, se quella forma noir, che compare per la prima volta come la conosciamo negli USA (Chandler e Hammett), e poi si diffonde a macchia d’olio per toccare il suo apice tra le sponde del mare nostrum, ci sembra così familiare, così nostra, così intrinsecamente consanguinea, è perché, in fin dei conti, ha origine nel dramma di Caino e Abele e nella tragedia greco-romana: quello del noir contemporaneo non è altro che un ritorno alle origini, un percorso di riavvicinamento al Mediterraneo, ma anche all’Europa. Non è forse noir la tragedia shakespeariana? E non è forse Shakespeare figlio, o nipote, dei tragici greci e latini? E gli autori noir britannici non sono forse figli, o nipoti, della tragedia elisabettiana?
Su queste stesse pagine, Nicola Campostori mi fece notare, a ragione, che vi è davvero poco che sia più noir di questo passaggio del Macbeth:
la vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si dimena durante la sua ora sul palcoscenico, dopo di che non si sente più nulla. Una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla
Dall’Europa, dal Mediterraneo, il noir si ridiffonde, si rigenera, come accade per esempio nel neopolicial latinoamericano. Ed è questo un processo ovvio e naturale, un ricorrere storico, della storia letteraria, che non deve sorprendere. Il noir è un sottogenere, un modo di pensare e vivere (l’accettazione fatalista del dramma) intrinsecamente mediterraneo. Parlare di noir mediterraneo equivale a parlare di noir in generale e lo scrivo senza alcun timore di apparire arrogante, riconoscendo per altro le peculiarità di quei romanzi scritti in altri luoghi. Tuttavia, essi si fondano su quel disincanto che non è altro che quel fatalismo innato nell’accettazione del dramma: l’elemento universale che fa del noir, allargando lo spettro del genere fino a includere Lo Straniero di Camus (rubandolo, quindi, all’esistenzialismo), l’Edipo re di Sofocle o il Macbeth di Shakespeare (per non parlare poi del Giulio Cesare), una delle più efficaci armi letterarie per portare avanti una critica sociale, politica e sentimentale del mondo in cui viviamo. Assumendo forme cangianti a seconda della latitudine alla quale viene scritto, il noir, come la tragedia, riesce a smascherare l’ordine apparente del nostro tempo e mostrarlo nella sua vera, caotica, essenza.