Apologia del duello
di Marcel Boulenger
a cura di Alex Pietrogiacomi
traduzione di Simona Malesci Turchet
con un testo inedito di Ivano Comi
Stilemaschile Edizioni, 2017
pp. 99
euro 15,00
Non viviamo forse tempi già sufficientemente litigiosi per sentire il bisogno di un’Apologia del duello? Come se non bastasse la quantità di risse – verbali e non – con cui, volenti o nolenti, ci tocca confrontarci quotidianamente (in diretta o in differita), ecco che in libreria ha appena fatto la sua comparsa un volumetto di Stilemaschile Edizioni curato da Alex Pietrogiacomi che promette un discorso in difesa, anzi addirittura in esaltazione, in elogio, di questa peculiare forma di “confronto”. L’ennesima, provocatoria incitazione a quell’odio verso il prossimo ormai così di moda (quasi di default) al giorno d’oggi? Beh… no. Anzi: esattamente il contrario. Non solo perché il pamphlet di Marcel Boulenger, ora tradotto per la prima volta in italiano da Simona Malesci Turchet, gode di una carica ironica rimasta intatta dal 1914, anno della sua prima pubblicazione oltralpe. Ma anche e soprattutto perché il duello a cui si fa riferimento non è certo la lotta spietata e senza esclusione di colpi a cui ci siamo tristemente abituati (specialmente sui social networks), bensì un combattimento codificato, dunque da svolgersi secondo speciali norme, tra due contendenti dotati di armi uguali, e il cui fine ultimo non è l’annichilimento di un nemico qualunque, bensì la risoluzione – a fil di spada, e in presenza di fidati testimoni – di una controversia legata a questioni d’onore. Un qualcosa, insomma, di cui la nostra contemporaneità ha completamente perso il ricordo oltre che la prassi, e che pertanto si farebbe bene a ripassare proprio per ritrovare la giusta misura e il giusto significato dello scontro.
Quando Marcel Boulenger – dandy, giornalista, schermidore e campione olimpionico – scrisse la sua Apologie, si era all’alba della Grande Guerra, in prossimità dell’avvento di quella maniera di combattere che avrebbe sconvolto senza ritorno le sorti del genere umano. E a leggere oggi le sue considerazioni sul duello accade un fatto singolare, perché viene quasi voglia di raccogliere firme per istituirlo nuovamente quale forma di risoluzione per le controversie. Un desiderio paradossale, in effetti, che desta perplessità in primis chi lo esprime, ma il cui eventuale esaudimento – c’è da averne la ragionevole certezza – farebbe versare molto meno sangue del previsto: in quanti, difatti, sarebbero davvero disposti a duellare? In quanti, molto semplicemente, avrebbero il coraggio di accettare l’essenza stessa del duello, fatta di aprioristico rispetto per il proprio rivale (viceversa non avrebbe senso affrontarlo) e per le regole del combattimento (senza le quali tanto varrebbe una sbrigativa revolverata, ovvero lo scadimento nella «buffonata» e nel «massacro»)? Il senso di questa pubblicazione italiana del pamphlet boulengeriano, caldeggiata dal curatore Pietrogiacomi a sei anni dalla sua ristampa francese per Le Bretteur, ruota tutto attorno a questo perno: oltre agli aneddoti narrati dall’autore, e oltre ai suoi strali ironici nei confronti delle possibili degenerazioni del duello – derive assortite nel fanatismo, nella pantomima e in quello che si potrebbe definire agevolmente “folklore” –, la riflessione si mostra nella sua attualità proprio se paragonata allo svilimento contemporaneo della controversia e del confronto, verbale ancora prima che fisico.
L’Apologia del duello si legge con agio in un pomeriggio, ma ha dalla sua il fatto che si fa rileggere e meditare a lungo. Di certo, anche se nel testo non se ne fa mai menzione, vengono in mente i tanti celebri duelli consegnati alla memoria collettiva dalle rielaborazioni letterarie e cinematografiche; ma questo non è che il primo step, il più esteriore e superficiale, e, per così dire, il più “mitologico”. Per apprezzare al meglio l’originalità e il brio filosofico delle pagine di Boulenger bisogna necessariamente andare oltre l’ovvietà fascinosa delle narrazioni romanzesche e delle trasposizioni per il grande e il piccolo schermo, e riflettere, con la giusta dose di autocritica – è questo il vero “guanto di sfida” – su come una certa evoluzione dei costumi abbia fatto perdere il senso della proporzione nell’ambito malinteso della libertà, e della libertà d’espressione in particolare.
Un’ultima annotazione ancora a proposito della veste grafica del volume. Se la pistola e la rosa rossa in bella mostra sulla copertina sono un omaggio al film Barry Lyndon voluto dal direttore editoriale Alfredo de Giglio – e ciò solo in apparente contraddizione con il fatto che nel libro non si parli che del duello a fil di spada –, tutte le facciate interne, in corpo di testo, sono arricchite dalla gradevole presenza di due motivi decorativi, sia nell’intestazione (una coppia di duellanti) che nel piè di pagina (due spade incrociate). Eterogena, invece, la natura delle altre immagini riprodotte, fotografie o illustrazioni non sempre supportate da didascalie esplicative: ed è un peccato, questo, per un “laboratorio editoriale” come quello di Stilemaschile (www.stilemaschile.it), vivo on e off line, che crede nel potere distintivo dei dettagli (rendendone avido, di conseguenza, anche il suo incontentabile lettore ideale); le stesse minuzie in cui, talvolta, può annidarsi anche il “diavolo” (certamente passeggero) di un’indesiderabile nonchalance. Ma si rimedia subito, tuttavia, consultando la bibliografia essenziale presente in coda, la quale, oltre ai testi fondativi sull’argomento del duello a firma dell’italiano Jacopo Gelli, offre una ricca lista di titoli sul Giappone e sui samurai; perfetto completamento, questo, del contributo in appendice a firma di Ivano Comi – Un cammeo sul duello – che in quattro tempi (Aggarbatura, Spigolatura, Metafisica del duello, Epilogo) trasporta il lettore alla scoperta delle ritualità degli iconici duellanti dell’Estremo Oriente.
Cecilia Mariani