Un interminabile
inverno
di Alex Boschetti
Edizioni AlphaBeta
Verlag
276 pp.
€ 14,00
Albert, Giorgio,
Kurt e Peter, quattro uomini legati da un'amicizia indissolubile, siglata da
bambini in una notte da lupi e da tregenda in Alto Adige, loro terra d'origine.
Un'amicizia che la vita si è incaricata di ridurre a brandelli, almeno per due
di loro, Albert e Giorgio, divisi da una terribile disgrazia e da una donna.
Bologna e New York sono gli altri due luoghi che vedono il dipanarsi di questo
noir, secondo romanzo per Alex Boschetti, sceneggiatore di professione, pubblicato da Alphabeta Verlag.
Partiamo subito col
dire che la lettura del libro richiede un lento adattamento alla deriva fisica
e psicologica di cui è protagonista Albert, l'io narrante.
La cosa che più mi
preoccupava nel corso della lettura, fin dalle prime pagine, era il sentimento
di antipatia che non riuscivo a nascondere a me stessa per il personaggio di
Albert. Eppure, ben presto, il lettore scopre che quest'uomo, docente universitario
di successo e star televisiva di trasmissioni culturali, famoso e in carriera,
in realtà è un uomo bastonato dalla vita, un uomo che ha perso tutto, colpito
nei suoi affetti più cari.
Nicola, il figlio piccolo, 6 anni, un giorno di due
anni prima sparisce improvvisamente e di lui nulla più si sa. Di colpo anche il
resto della famiglia si sgretola. La moglie Martina, in preda alla
disperazione, e di fatto ignorata dal marito che non riesce a condividere
pienamente il suo dolore, cerca conforto tra le braccia del migliore amico di
Albert. Il quale così, in pochissimo tempo, viene deprivato dell'identità di
padre (gli rimane però una figlia), di marito e di amico. E di lì a poco si
scoprirà che pure l'identità di figlio è ormai un ricordo: l'anziana madre
soffre di una di quelle malattie terribili che devastano la memoria e quando il
figlio la va a trovare in ospedale lo saluta con un «Buongiorno
dottore». Senza riconoscerlo. Basterebbe una sola di queste vicende per
suscitare nel lettore partecipazione ed empatia. E invece no. Albert è
antipatico, duro, scostante, sarcastico, manesco, aggressivo, un po' troppo
amante della bottiglia. Poi, la rivelazione. A un certo punto è lo stesso
Albert a dire:
Come oggi, anche allora non eccellevo in simpatia.
Ecco, allora ho
provato un moto di sollievo per me stessa. E' l'autore che desidera che il suo
personaggio susciti antipatia, non sono io lettore-mostro incapace di provare
pietà. E' lo scrittore che non fa niente
per rendere il protagonista del suo romanzo empatico, attraente. Stabilito
questo patto, la lettura può procedere senza sensi di colpa. E sarà una discesa
agli inferi, oscura e senza via d'uscita. Il lettore accompagnerà Albert negli
strati più profondi della sua psiche e nell'aridità che ha prosciugato la sua
anima. Lo vedrà dibattersi nell'incapacità di dar vita a una nuova relazione.
Lo vedrà sporcarsi con gente pericolosa e di infimo rango progettando
addirittura l'uccisione dell'ex amico Giorgio. Lo vedrà cercare di raccogliere
i cocci delle antiche amicizie. Fino all'epilogo finale. Del quale non dirò
nulla.
Dirò invece della
scrittura che ho trovato molto maschile. Solitamente non faccio distinzione di
genere, la scrittura è piacevole o sciatta, intrigante o monotona, pulita o
pesante, chiara o farraginosa. Indipendentemente dal genere dell'autore.
Stavolta invece l'aggettivo che mi sembra più adatto è proprio questo:
maschile. Recentemente mi è già capitato di pensare a questo attributo per la
scrittura de Le otto montagne di Paolo Cognetti. E non è un caso che in
entrambi i libri il fulcro della storia sia l'amicizia maschile, un sentimento
che può diventare totalitario, ma anche aggressivo e violento se l'amicizia in
questione è nata nell'infanzia. E, come nel libro di Cognetti, Bruno e Pietro
diventavano adulti senza mai lasciarsi veramente (nonostante la lontananza
anche per lunghi periodi), la stessa cosa avviene per Albert, Giorgio, Kurt e
Peter. Un'amicizia, come detto, che nasce in Alto Adige, sulle spoglie di una
tragedia. Siglata col sangue. E nonostante i quattro bambini, poi ragazzi, poi
adulti siano sparsi per il mondo, al di qua e al di là dell'oceano, sono pur
sempre le montagne oscure e minacciose dell'infanzia a legarli
indissolubilmente. Tanto è vero che tutto si scioglierà tornando al passato.
Molto maschile, come dicevo, il racconto di questa amicizia, nelle dinamiche,
negli atteggiamenti, nella cupezza di un mondo assoluto che arriva a escludere
tutti gli altri. Dolorosissima la scoperta del tradimento: più che per la
moglie, Albert soffre per la slealtà dell'amico. Per la rottura di un antico
patto di fiducia. Maschile anche la percezione del dolore: di fronte a un
bambino che scompare senza più dare segni di sé, ben poco sappiamo del dolore
della madre, che possiamo immaginare enorme, devastante. Ma Albert, nel suo
egoismo, non lo percepisce; credendo che il dolore sia solo un suo diritto, non
lo riconosce in chi gli sta accanto.
La tensione rimane
in tutto il romanzo bassa, continua ma bassa, senza cioè picchi di suspense,
colpi di scena clamorosi e insospettati (finale a parte) e questo, in un noir,
potrebbe essere un difetto. Che diventa uno strumento preciso se invece lo vediamo
come il lento dibattersi di un uomo che, come un pesce fuori dall'acqua, sente
mancargli l'aria per respirare, l'elemento vitale a cui attingere.
Interessante, oserei
dire propria di uno sceneggiatore, l'idea di aprire e chiudere con il passato.
Che ritorna, che si perpetua nel presente e determina il futuro. Le radici che
non si tagliano mai completamente. Per quanto si possa percorrere la propria
vita fisicamente lontano dal luogo natio.
In generale, una
buona prova questo secondo romanzo di Boschetti. Con qualche piccola pecca:
alcuni luoghi comuni (l'odio per chi dice «un attimino», gli uomini
che al volante di Suv non possono essere altro che strafottenti… tutto questo
sa un po' di già detto). Qualche uscita che lascia un po' perplessi, del tipo
«in realtà non
ho mai amato i colli bolognesi, una copia triste e sbiadita delle mie
Dolomiti», dice Albert… che è
un po' come paragonare l'Idroscalo di Milano al mare di Sardegna. Oppure
una signora sulla cinquantina, ossigenata e profumatissima, guarda assorta fuori dal finestrino, mentre un raggio di sole le fa luccicare la cotonatura intrisa di lacca.
Suvvia… neanche le
bisnonne ormai si cotonano più…
Qualche errore di
editing permane qua e là. Ma, nonostante queste perdonabili (ma per il futuro
rimediabili) cadute, il libro è godibile, la scrittura pulita e concisa, i
personaggi ben caratterizzati e il finale sufficientemente sorprendente.
Sabrina Miglio
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