Motel Chronicles
di Sam Shepard
trad. Cristina Vezzoli
Il Saggiatore, 2016
(I ed. Feltrinelli, 1985)
pp. 201
€16,15 (cartaceo)
€8,99 (ebook)
Sam Shepard è morto pochi giorni fa, il 27 luglio, nel suo ranch in Kentucky. Aveva settantatré anni ed era noto al pubblico italiano forse più come attore che come scrittore, sceneggiatore e commediografo. Attraverso i suoi romanzi e i suoi testi teatrali ha contribuito alla messa in luce delle innumerevoli contraddizioni della società americana moderna, rivelando, come tantissimi altri grandi scrittori prima di lui, i lati oscuri del Mito Americano. Ed è proprio questo lavoro di smantellamento e di messa a nudo del mito che, paradossalmente, lo ha rafforzato decretandone l'immortalità, a destinare Sam Shepard, questo cowboy moderno, personificazione dell'eroe/antieroe nella finzione e nella vita reale, grande scrittore senza il bisogno di essere grandissimo, a un posto tutto suo nello scaffale riservato alla letteratura americana di pregio.
di Sam Shepard
trad. Cristina Vezzoli
Il Saggiatore, 2016
(I ed. Feltrinelli, 1985)
pp. 201
€16,15 (cartaceo)
€8,99 (ebook)
Stasera
Stanno innaffiando il cimitero di Cody, Wyoming
Un vento secco soffia sulle Tribune del Rodeo
L'Inno Nazionale fluttua sulla prateria
Cantato senza convinzione
Cantato per amor di convenzione
Motel Chronicles è un singolare diario di viaggio che contiene ricordi d'infanzia, racconti brevi e altrettanto brevi poesie, attraverso cui Sam Shepard dispiega il proprio percorso sulle strade dell'America remota ma, proprio per questo, più autentica nella sua drammaticità. Frammenti di narrazioni risalenti al periodo fra il 1978 e il 1981, raccolti in questo volume pubblicato in America l'anno successivo, e giunto in Italia nel 1985, peraltro uno dei pochi titoli di questo autore apparsi sul mercato del nostro Paese.
Il libro è una specie di mosaico in cui i frammenti autobiografici, le poesie e i racconti si susseguono senza apparente successione logica; c'è tuttavia un elemento agglomerante che restituisce al tutto un senso, che paradossalmente risiede proprio nell'eterogeneità delle singole tessere del mosaico: insomma, una sorta di "ordine nel disordine", in cui il comune denominatore è costituito dai diversi tratti che caratterizzano una certa visione dell'America, contemporaneamente mitizzata e demitizzata, secondo una prospettiva critica e disillusa ma allo stesso tempo conscia dell'imprescindibilità del mito, i cui effetti vanno da Cormac McCarthy a Edward Hopper, da Aaron Copland a Steve Fitch, solo per citarne alcuni.
L'America remota, si diceva: e infatti, le tappe di questo viaggio disordinato sono i mille luoghi in mezzo al nulla, dal Midwest ai confini con il Messico, ben lontani dalle metropoli conosciute e rassicuranti nella loro funzione spersonalizzante, addirittura anonimizzante; è qui, nella spietata, degradata, meravigliosa Smalltown America che, fra predicatori televisivi, chicanos, indiani e il resto della fauna variamente imprevedibile che popola i motel disseminati lungo le blue highways, si snoda il filo della memoria e il narrato prende forma.
L'America remota, si diceva: e infatti, le tappe di questo viaggio disordinato sono i mille luoghi in mezzo al nulla, dal Midwest ai confini con il Messico, ben lontani dalle metropoli conosciute e rassicuranti nella loro funzione spersonalizzante, addirittura anonimizzante; è qui, nella spietata, degradata, meravigliosa Smalltown America che, fra predicatori televisivi, chicanos, indiani e il resto della fauna variamente imprevedibile che popola i motel disseminati lungo le blue highways, si snoda il filo della memoria e il narrato prende forma.
A Santa Fe si fermarono solo il tempo necessario per fare il pieno e poi puntarono a nord verso Chimayo. Attraverso i finestrini aperti entrava con vento il profumo dolce del ginepro. Al di sopra dell'autostrada planavano i corvi alla ricerca di lucertole morte e conigli. Alla loro sinistra apparve la Black Mesa e tutti quanti dissero che capivano perché gli indiani la consideravano sacra. Ma nessuno di loro riuscì a spiegare perché lo pensavano.
In Motel Chronicles, Shepard riporta alla luce ricordi di viaggi in treno fra le praterie del Midwest, di peregrinazioni lungo vie già percorse da miti di gioventù, come quella che passa dal deserto del Mojave, attraversata nel '57 da Merle Haggard in fuga dall'arruolamento; ma soprattutto Shepard rivive, e in qualche modo sembra voler analizzare, il difficile rapporto con il padre, presente in molte pagine del libro, anche solo nella forma simbolica di una giacca di pelle imbottita come quelle indossate dal personale dell'Air Force, simulacro di quell'uomo tornato dalle missioni di bombardamento nella Seconda Guerra Mondiale con il fisico e la psiche segnati in modo permanente e profondo.
Sam Shepard è morto pochi giorni fa, il 27 luglio, nel suo ranch in Kentucky. Aveva settantatré anni ed era noto al pubblico italiano forse più come attore che come scrittore, sceneggiatore e commediografo. Attraverso i suoi romanzi e i suoi testi teatrali ha contribuito alla messa in luce delle innumerevoli contraddizioni della società americana moderna, rivelando, come tantissimi altri grandi scrittori prima di lui, i lati oscuri del Mito Americano. Ed è proprio questo lavoro di smantellamento e di messa a nudo del mito che, paradossalmente, lo ha rafforzato decretandone l'immortalità, a destinare Sam Shepard, questo cowboy moderno, personificazione dell'eroe/antieroe nella finzione e nella vita reale, grande scrittore senza il bisogno di essere grandissimo, a un posto tutto suo nello scaffale riservato alla letteratura americana di pregio.
Stefano Crivelli