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The Outsiders

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The Outsiders. I ragazzi della 56a strada
di S.E. Hinton
Rizzoli, agosto 2017

Traduzione di Beatrice Masini

pp. 220
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Di colpo non era solo una cosa personale. Mi sono immaginato centinaia e centinaia di ragazzi che abitavano dalla parte sbagliata delle città, ragazzi con gli occhi neri che trasalivano davanti alla loro ombra. Centinaia di ragazzi che forse guardavano i tramonti e le stelle e sentivano il dolore e il desiderio di qualcosa di meglio. Ho visto ragazzi cadere sotto i lampioni perché erano cattivi e duri e odiavano il mondo, ed era troppo tardi per dire loro che c’era ancora del bene, lì, e anche a dirglielo non ti avrebbero creduto. Era un problema troppo enorme per essere solo una cosa personale. Ci doveva essere un aiuto, qualcuno doveva dirglielo prima che fosse troppo tardi. Qualcuno doveva raccontare la loro versione della storia […].
Sono passati cinquant’anni dalla prima pubblicazione di The Outsiders, il romanzo cult di una generazione da cui F.F. Coppola avrebbe tratto, un decennio più tardi, il film “I ragazzi della 56 esima strada”: mezzo secolo dopo e con la nuova, accurata, traduzione di Beatrice Masini, la storia di Ponyboy e della sua banda è ancora una lettura coinvolgente, il ritratto di un’adolescenza lontanissima dall’immagine stereotipata di molti romanzi dell’epoca fatta di balli scolastici, linguaggio edulcorato, amori delicati, case di periferia e staccionate bianche. Certo, nel tempo il romanzo di Hinton ha perso parte del suo spirito provocatorio e ribelle e oggi è difficile immaginare lo scandalo suscitato nella società degli anni Sessanta, la messa al bando, le accuse di immoralità, il disappunto per le tematiche e le modalità espressive scelte: eppure, proprio oggi che niente in fondo sembra più scandalizzarci davvero e messi da parte alcuni riferimenti che cinquant’anni dopo appaiono un po’ datati, The Outsiders, quello che comunemente è considerato il primo romanzo young adult – se proprio dobbiamo apporgli un’etichetta e scegliendo, probabilmente la più odiosa e fuorviante – si rivela ancora una lettura molto interessante, lontanissima dai canoni del romanzo per giovani adulti che spopola in libreria. Niente vampiri, creature mitologiche, forze soprannaturali, niente amori contrastati, distopie, scontri generazionali: Hinton, tra le prime, dà voce al disagio di un’adolescenza ribelle, violenta, di stereotipi e famiglie disfunzionali, differenze sociali che sfociano nella lotta tra le due bande rivali della città, Greasers e Socs, in un turbine di violenza e morte. Due gruppi sociali ben distinti, in costante guerra tra loro, due realtà tanto differenti da essere incapaci perfino di immaginarsi la vita, i desideri, le aspettative, le una dell’altra, quando anche pensare di guardare lo stesso tramonto, ai lati opposti della città e della vita, sembra impossibile:
Mi sembrava strano che il tramonto che vedeva dal suo patio e quello che vedevo io dai gradini di dietro fosse lo stesso. Forse i due mondi diversi in cui vivevamo non erano così diversi. Vedevamo lo stesso tramonto. 
Ma sono due mondi incapaci di comprendersi, venire a patti, in una lotta che si fa sempre più violenta dopo lo scontro in cui uno dei Socs, i ragazzi ricchi del Westside, ha perso la vita. Un evento terribile e traumatico che innesca il desiderio di vendetta, la fuga, la disperazione, in qualche modo segnando il destino e le scelte di ognuno dei protagonisti della vicenda, in un racconto che si fa sempre più carico di tensione. È davvero sorprendente che Hinton abbia scritto questo romanzo quando aveva soltanto sedici anni eppure, allo stesso tempo, probabilmente non sarebbe stato possibile ricreare i dubbi, le paure, i desideri, i falsi miti, i sentimenti brucianti dell’adolescenza da una prospettiva adulta, almeno non con la stessa intensità. E per creare un legame emotivo del lettore con la storia, Hinton usa un espediente narrativo tanto efficace quanto in seguito abusato, scegliendo il racconto in prima persona, per voce di Ponyboy, il protagonista della vicenda: ed ecco che la scrittura si fa quindi scorrevole, cruda, onesta, carica di emozione. Il racconto di Ponyboy, che a quattordici anni ha già visto e sentito troppo per essere chiamato innocente, si carica di tutte le incertezze e le paure di quell’età bellissima e crudele, non più bambini – se mai in una vita così qualcuno di loro lo è mai stato davvero – non ancora adulti, in una società in cui non c’è spazio per l’innocenza, la bellezza, qualche volta la vita stessa.
Sedici anni per la strada e si imparano tante cose. Ma tutte quelle sbagliate, non quelle che vuoi imparare. Sedici anni per la strada e vedi tante cose. Ma tutte le cose sbagliate, non quelle che vuoi vedere.
Penso a The Body, il bellissimo racconto di Stephen King da cui è stato tratto il celebre film Stand by me, a quel gruppo di ragazzini che si mettono alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo scomparso nei boschi poco lontano da casa, un “viaggio” che sarà scoperta di sé e, in qualche modo, perdita dell’innocenza: trovo numerose similitudini tra le due storie, che pur raccontando realtà e un’idea di adolescenza diverse, riescono comunque a rappresentarne, ognuna a proprio modo, i lati più oscuri, le difficoltà di crescere, le amicizie che vorresti durassero per sempre, l’incertezza del diventare grandi. E la morte, che si insinua in entrambe le storie: per Ponyboy e la sua banda e, seppur in misura minore, anche per Chris e i suoi amici la morte, la violenza, sono già lì, dietro la porta di casa, nelle strade, in quelle famiglie spezzate, nei padri alcolizzati e violenti.
In The Outsiders, a differenza di tante storie di adolescenti dell’epoca, non ci sono steccati bianchi e pancake a colazione, genitori premurosi, ambizioni e desideri di riscatto, ma solo ragazzi costretti ad essere adulti che fanno quello che possono con quanto a disposizione, per cercare di sopravvivere all’unica vita che conoscono: 
Non sapevo bene cosa dicevo, ma stavo pensando al padre di Johnny che era un alcolista, e a sua madre, una sciattona egoista, e alla madre di Two-Bit che faceva la barista per mantenere lui e la sorellina dopo che il padre li aveva piantati, e a Dally – il selvaggio, astuto Dally – che diventava un delinquente perché altrimenti moriva, e a Steve – l’odio per il padre veniva fuori in quella voce dolceamara, in quel carattere violento. A Sodapop, che mollava la scuola per trovarsi un lavoro e far studiare me, e a Darry, invecchiato prima del tempo nel tentativo di tenere insieme una famiglia, due lavori da fare, mai un divertimento […]. 
Ponyboy vive ogni cosa con intensità disarmante, osserva, si interroga, sbaglia e si dispera, come tutti, ma impara a non cedere al cinismo, alla cieca rabbia. C’è bellezza, nonostante tutto. E affetto, famiglia, in qualsiasi modo la si voglia intendere: gli amici che sono come fratelli, dove anche il più indurito di loro conserva un briciolo di umanità, Sodapop e Darry che sono tutto ciò che rimane della loro famiglia e lottano per non permettere agli assistenti sociali di separarli. Ponyboy da voce ed anima a quel gruppo di sbandati e ribelli, ne racconta l’umanità e la sofferenza dietro la brillantina, dietro i coltelli sempre pronti, le sigarette, le sbruffonate. Perché qualcuno deve, deve per forza, raccontare di loro, altrimenti sono solo un trafiletto sul giornale tra le notizie di cronaca nera, l’ultimo, insignificante, caso di delinquente morto ammazzato, in una lotta tra bande, in uno scontro con la polizia. Perché altrimenti, quelle morti non hanno un senso, e raccontare diventa necessario per comprendere, restituire umanità, anche nella disperazione. Perfino a Dally, arrestato a dieci anni, indurito, disilluso, cattivo, che pure lui, sorprendentemente, ha «un punto di rottura».
E se non tutti si possono salvare, se l’escalation di violenza sembra inevitabile, non perdere la speranza e continuare a credere che esistono bellezza e luce perfino in quel mondo di Greaser contro Soc, si fa sempre più difficile. Eppure, in qualche modo deve essere possibile. È questo, a mio avviso, l’aspetto più interessante del romanzo di Hinton che non condanna né esalta quegli antieroi disperati, non offre facili happy ending e ipotesi di futuro riscatto: nella lotta per la sopravvivenza di Ponyboy e dei suoi amici, nella confusione di diventare adulti in un mondo caotico diviso tra noi e loro, buoni e cattivi, Hinton rappresenta le zone grigie dell’animo umano e, soprattutto, la speranza, speranza di non lasciarsi sopraffare dalla difficoltà, dalla violenza. Non importa quanto traumatico sia il quotidiano, quanta la rabbia che scava dentro, quante le responsabilità che non abbiamo chiesto ma a cui non possiamo sottrarci, quanta la disperazione per la perdita e l’ingiustizia: deve esserci bellezza, perfino in quel pezzo di mondo, perfino nell’adolescenza spezzata, nell’ora dorata dell’innocenza perduta per sempre.
È oro il primo verde di natura,
tinta che meno dura.
Il primo boccio è un fiore;
ma è questione di ore.
Poi foglia cede a foglia.
L’Eden affondò nel dolore,
così l’alba dentro il giorno muore.
Niente d’oro rimane. [Robert Frost]
E se quella bellezza riesci a vederla, se riesci a non perderla, solo così puoi sopravvivere: rimani d’oro, Ponyboy, rimani d’oro.


Debora Lambruschini