Il problema Spinoza (The Spinoza Problem)
di David Irvin Yalom
Neri Pozza, 2012
traduzione di Serena Prina
pp. 441
€
17,50 (cartaceo)
Yalom è uno
psichiatra che insegna ed esercita il suo lavoro in California. Di chiare
origini ebraiche, ha fatto della sua professione anche una chiave, colta e pop
allo stesso tempo, di accesso alla scrittura, per romanzi che hanno come protagonisti grandi filosofi: ha cominciato
con “Le lacrime di Nietzsche” e
“La cura Schopenhauer”, due che con i
problemi psichiatrici sono andati a nozze, ed è arrivato al problema
Spinoza.
Un giorno Yalom,
trovandosi ad Amsterdam, si è recato a Rijnsburg per visitare il museo
intitolato al filosofo. Niente di che, ambienti piuttosto spogli e modesti ma
anche una rivelazione stuzzicante: durante l’occupazione nazista dell’Olanda,
il museo è stato saccheggiato da un’unità speciale, le Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg
(ERR) dedite alla confisca delle
biblioteche e di materiali d’archivio, ebraici e non, guidate da Alfred
Rosenberg, il sinistro ideologo del nazismo e della sua piattaforma
antigiudaica, autore di un libraccio astruso e illeggibile, a detta degli
stessi gerarchi, come “Il mito del XX secolo”, secondo solo al “Mein Kampf” in
ordine d’importanza negli anni del führer, e impiccato dopo il processo di
Norimberga nel 1946.
Il giovane
ufficiale tedesco che aveva materialmente eseguito la spoliazione del museo aveva
nel suo rapporto fatto esplicito riferimento a «l’esplorazione del problema Spinoza». Quale problema poteva rappresentare un filosofo ebreo? Perché un antisemita come Rosenberg ne ha fatto sequestrare i libri?
nel suo rapporto fatto esplicito riferimento a «l’esplorazione del problema Spinoza». Quale problema poteva rappresentare un filosofo ebreo? Perché un antisemita come Rosenberg ne ha fatto sequestrare i libri?
Nasce da qui il
doppio binario del romanzo, che si articola in capitoli alternati: uno a testa fra
Rosenberg e Spinoza con Yalom che cerca di tenere insieme un folle tedesco d’Estonia
del Novecento e un uomo mite della Amsterdam ebraica del Seicento. Rosenberg si
trova sbattuto in faccia il problema
Spinoza fin da quando, studente di un liceo, subisce una ramanzina dal preside
della scuola che gl’impone di imparare a memoria i passi di Wolfgang Goethe in
cui il massimo rappresentante dello
spirito tedesco apprezza in modo incondizionato le opere dell’ebreo Spinoza.
In particolare, le pagine della sua “Etica”. Ora, questa punizione, a giudizio del preside, dovrebbe rimettere sulla giusta
strada Rosenberg che fin d’allora dà segnali preoccupanti di antisemitismo e di
partecipazione a teorie da invasati. Evidentemente la scelta non si rivelerà
vincente ma inserisce nella mente di Rosenberg un tarlo: Goethe e altri grandi
tedeschi non potevano trovare edificante la filosofia di un giudeo.
Pare che venga a
soccorrere Rosenberg la stessa vicenda umana di Spinoza. Ebreo sì, ma molto sui
generis. Perché in virtù della sua intraprendenza intellettuale e della sua
lettura eretica della Torah, incorre
nel peggio del peggio che a un ebreo possa capitare. Il cherem. La scomunica. Si può
considerare dunque ebreo il pensiero di un filosofo elaborato dopo che costui è
stato bandito dalla sua comunità, dai suoi pari? Si è ebrei per sempre in
virtù di un fatto di sangue e dunque mai ci si libera da questa maledizione
razziale, oppure se ne può uscire in circostanze singolari come quelle che,
indubbiamente, ha conosciuto Spinoza? Rosenberg è un po’ titubante anche se
propende per la prima ipotesi. Ma c’è bisogno di un aiuto. E qui entra in scena
Yalom stesso.
Yalom psichiatra
non può infatti abdicare dall’inserire un’indagine psicologica per i due
protagonisti e s’inventa altrettanti personaggi, suoi alter ego, che interagiscono
con Rosenberg e Spinoza e ne svelano le pieghe più intime. Per Rosenberg,
l’amico-psichiatra Friedrich Pfister che tenta con ogni mezzo di dissuaderlo
dalla sua follia razzista, curandolo proprio con il razionalismo spinoziano.
Alfred confessa a Pfister ogni debolezza: soprattutto la sua totale dipendenza da Adolf Hitler. Rosenberg di Hitler ha
bisogno come l’aria: della sua presenza, di una pacca sulle spalle, di
un’attenzione, di una benevolenza. Del suo amore. Altrimenti è un uomo morto
dentro, anche perché sa bene che i capi nazisti non lo sopportano. Per non
parlare del suo “Mito del XX secolo”.
Rosenberg passerà in sostanza l’esistenza a cercare di entrare a far parte
della ristretta cerchia del führer ma otterrà, non riuscendoci, solo
enorme frustrazione.
Se da una parte
l’idea di Friedrich Pfister poteva
rivelarsi una carta vincente, devo dire che le potenzialità non sono state
sfruttate. Le sue continue apparizioni e sparizioni hanno un che di poco
lineare, non connettono il tessuto narrativo e in parte lo sfilacciano. Fino a
una scomparsa improvvisa dove il destino dello psichiatra si può intuire mentre
Rosenberg cade definitivamente nella totale soggezione a Hitler.
Anche Spinoza,
nonostante l’assoluta lucidità del suo pensiero, presenta dei lati oscuri. Intanto
il suo nome è trino, scherzandoci un
po’ sopra. Baruch-Bento-Benedictus
Spinoza. Le varianti denunciano una vicenda alquanto intricata: quella di
ebreo, quella di marrano trapiantato ad Amsterdam per sfuggire alle
persecuzioni dell’inquisizione, quella di filosofo razionale alla ricerca della
verità. La sorella Rebecca e il
fratello Gabriel non condividono il rifiuto delle tradizioni e il
distacco dalla comunità ebraica. A Baruch non resta che scrivere i pensieri su
un quadernetto e frequentare l’Accademia di studi classici condotta da
Franciscus van den Enden, dove imparerà il greco e il latino, conoscerà Platone,
Aristotele e soprattutto Epicuro e la tredicenne Clara Maria, figlia di
Franciscus, può impartire e ricevere istruzione insieme agli uomini.
Spinoza sembra
indirizzato verso una maturità filosofica in cui l’antica tradizione del suo
popolo, scritta nella Torah, non è più opera della mano di Mosè, tanto meno di
Dio, quest’ultimo è un tutt’uno con la natura
e ogni religione è un concentrato di
superstizioni. Pure a Spinoza, Yalom
contrappone un personaggio di fantasia, Franco, da cui finisce per essere
guidato alla ricerca delle proprie contraddizioni: la misoginia, il sentimento
verso Clara Maria, l’immediata accettazione del cherem considerato
un’occasione di libertà di pensiero e la nostalgia verso la comunità a cui è
appartenuto fin dalla nascita. Certo, l’incontro con il pensiero spinoziano è
favorito dai dialoghi tra Spinoza e Franco. Tuttavia, anche di Franco abbiamo
un’evoluzione, a mio parere, quasi intricata: parte come spia e giunge a essere
un rabbino poco ortodosso. Più che di verosimiglianza parlerei di forzata
credibilità.
In ultima
analisi, se il libro doveva essere l’incontro causale, nello spazio e nel tempo,
fra due uomini molto diversi ma entrambi divorati dai tarli della solitudine e
dell’altrui incomprensione, mi sarei aspettato uno scavo più robusto. I tarli fanno questo, per l’appunto. Consumano e
consumano fino a disintegrare stabilità e consistenza. In questo libro, invece, tutto resta un po’ in superficie. Le
gallerie ci sono ma non poi così profonde. Perfino per lo stesso problema Spinoza, che dà il titolo
all’opera, viene da chiedersi: e quindi?
Marco Caneschi