In presenza di Schopenhauer
di Michel Houellebecq
La nave di Teseo, 2017
Traduzione di Vincenzo Vega
€ 11, brossura
pp. 74
L’ultimo libro di Houellebecq è una selezione di brani tratti dal Mondo come volontà e rappresentazione e dagli Aforismi di Schopenhauer – tradotti dallo stesso Houellebecq – corredati dai relativi commenti dell’autore. Un semplice saggio su un filosofo che ha cambiato la sensibilità moderna d vedere il mondo o c’è di più?
Quando ho preso in prestito gli Aforismi sulla saggezza del vivere presso la biblioteca del VII arrondissement avrò avuto ventisei anni, o addirittura venticinque, o ventisette. […] Pensavo di aver esaurito un ciclo, nella mia scoperta della letteratura. E invece, in qualche minuto, tutto è cambiato.
Quello che viene raccontato allora è un vero e proprio shock che ha portato Houellebecq a definire Il mondo come volontà e rappresentazione come «il libro più importante del mondo» e a fare di Schopenhauer un punto di riferimento di tutta la sua opera, a tal punto che è lecito chiedersi se Houellebecq fosse schopenhaueriano prima della lettura di Schopenhauer o se è questa lettura che lo ha fatto così come lo conosciamo. In entrambi ravvisiamo la stessa evidenza della sofferenza, lo stesso pessimismo, la stessa concezione dello stile, ma anche la stessa importanza centrale accordata alla compassione come fondamento generale dell’etica. Se l’idea di fondo, quindi, accanto alla leggibilità (incredibilmente alta rispetto agli standard a cui l’autore di Sottomissione e H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita ci ha abituati) siano dei pregi innegabili del testo, In presenza di Schopenhauer si dimostra un libello dalle elevate pretese ma che lascia poco al suo passaggio.
Interessanti sono la riflessione sull’arte e soprattutto, sull’artista, per condannare lo stato in cui versa l’attuale mondo della cultura, sempre più schiavo del mercato e l’idea, secondo Houellebecq, dell’assoluta originalità di Schopenhauer anche nel campo della drammaturgia, in cui il filosofo tedesco si sarebbe fatto portavoce di un nuovo e tuttora inesplorato elemento in grado di attivare il meccanismo tragico; una sorta di terza via che si aggiungerebbe a quella che si basa su un personaggio estremamente malvagio, unica fonte del male (Riccardo III, Jago) e a quella basata su un destino spietato e ineluttabile (Edipo Re, Romeo e Giulietta), delle semplici circostanze ordinarie che fanno da sfondo ai personaggi e che «li costringono a prepararsi vicendevolmente, in piena conoscenza e in piena consapevolezza, alle sventure più atroci, senza che la colpa debba ricadere sull’uno o sull’altro».
Quando, però, il discorso si sposta sul commento agli Aforismi («il libro più brillante, più accessibile e più divertente che Schopenhauer abbia mai scritto») la vera essenza del testo emerge con forza. Houellebecq scrive di Schopenhauer per celebrare se stesso e la propria attività artistica e filosofica con il solito egocentrismo che caratterizza l’ideale di fondo delle sue opere. Per citare solo uno dei falsi pretesti con cui lo scrittore francese maschera dietro al commento di un’opera altrui la sua autobiografia, la teorizzazione della supremazia dell’essere sull’avere in merito al raggiungimento della felicità che viene presa (ipocritamente) in prestito da Houellebecq per denunciare le derive del turbocapitalismo contemporaneo, che proietta l’essere umano verso «i soldi e la fama (ciò che abbiamo, ciò che rappresentiamo)», ovvero verso ciò che Schopenhauer considera un’illusione e a cui contrappone «gli alti godimenti dello spirito» per poi dichiarare (spudoratamente) che, se è vero che i soldi non fanno la felicità, è altrettanto vero che possono essere utili e che vanno tutelati (Houellebecq vive in Irlanda da parecchi anni ed è tra gli scrittori contemporanei più di successo). In presenza di Schopenhauer si risolve in un affastellamento di citazioni commentate senza profondità e con poco rigore scientifico. Altri scrittori hanno commentato meglio e con più obiettività l’operato del filosofo tedesco, primo tra tutti Lev Tolstoj nelle sue Confessioni.
Federica Privitera