"Quello che non uccide": Lagercrantz e la prova di Millennium 4

Quello che non uccide
di David Lagercrantz
Marsilio, 2015/2017

502 pp.
€ 9,90



Quando venne pubblicato postumo nel 2005, Uomini che odiano le donne fu subito un caso editoriale. Da questo primo libro della trilogia Millennium (proseguita nel 2006 con La ragazza che giocava col fuoco e nel 2007 con La regina dei castelli di carta, tutti pubblicati in Italia da Marsilio) furono tratti ben due film: l'omonimo svedese Män som hatar kvinnor nel 2009 e l'anglofono diretto da Fincher The Girl with the Dragon Tattoo nel 2011. Millennium 1 e Millennium 3 furono anche insigniti del premio Glasnyckeln riservato ai gialli scandinavi. Per la sua trilogia Larsson ha infine vinto nel 2009 i premi Macavity e Barry, rispettivamente per il miglior romanzo d'esordio e per il miglior romanzo poliziesco.
Si potrebbe stare per ore a discutere su perché dei romanzi polizieschi/thriller abbiano avuto così tanto successo, ma ricordo bene che dieci anni fa, da lettore che per la prima volta si affacciava ai gialli svedesi, non rimasi tanto colpito da trama e colpi di scena (i punti forti di questo genere letterario) quanto dal mondo creato da Larsson. Il suo stile inconfondibile gettava una luce intensa e accecante sulle ambientazioni noir, sui personaggi indimenticabili, sulle tematiche di fondo dei libri. Diciamoci la verità: chiunque abbia amato o odiato questa saga non può essere rimasto indifferente davanti a Lisbeth Salander e non può non aver goduto quando, dopo tre libri e oltre 2.000 pagine, la giustizia tanto bramata cala sull'intera vicenda Zalachenko. Forse parlo solo per me, tuttavia, come nelle migliori saghe, voltando la quarta di copertina della Regina dei castelli di carta ho provato un senso di completezza e di soddisfazione raramente sentiti con altri libri di quel periodo: l'arco era concluso, la vicenda risolta, le morti disseminate lungo la via erano servite a rendere il mondo un posto migliore. Lisbeth Salander – ormai parte della mia famiglia, quella pecora bianca tinta di nero per tanti anni – era salva, redenta, pulita. E Mikael Blomkvist era un eroe, il simbolo di un giornalismo al servizio della società, l'uomo (nel senso di: essere umano) che tutti dovremmo aspirare a essere.

Questo è stato Millennium per me, giovane e appassionato lettore appena ventenne.

Inutile dunque dire che la prima reazione che ho provato alla notizia dell'imminente uscita di Millennium 4 sia stata "oh diamine, non potevo chiedere di meglio"; e che la seconda sia stata "però... come si fa a reggere il confronto con Larsson?".
David Lagercrantz raccoglie un'eredità difficilissima da gestire quanto quella di Alexander Zalachenko: un'eredità enorme ma sporca e piena di insidie (e non mi si dica che quando si apre un libro nuovo i pregiudizi vanno messi da parte: questo può esser vero per testi autonomi, ma non per uno che in copertina riporta a caratteri cubitali MILLENNIUM 4). Il rischio maggiore per Lagercrantz è stato quello di oscillare fra l'essere un mero epigono di Larsson da un lato, e di imporre una voce totalmente nuova ed estranea dall'altro.
Questo dubbio enorme persiste in effetti per buona metà della lettura. Riprendere le redini da dove eravamo rimasti non è semplice. Ci troviamo catapultati in una Svezia nuova, abbiamo a che fare con un Mikael Blomkvist demoralizzato e stanco, con una redazione intrappolata dai tentacoli della Serner Media, una società improntata al mero guadagno di denaro e quindi totalmente estranea alle logiche di Millennium. Molti personaggi vengo presentati nelle prime pagine, e con loro si moltiplicano i punti di vista, elementi che rendono la lettura molto complessa e stagnante finché i fili non cominciano a congiungersi verso pagina 300. Altro elemento fortemente negativo è l'apparente mancanza di motivazione e di coinvolgimento dei protagonisti, Mikael e Lisbeth, nelle vicende che accadono intorno a loro.
Solo quando compare il vero nemico, il libro acquista vigore. Camilla Salander – un Fucile di Cechov tanto atteso quanto preannunciato nei libri precedenti –, gemella di Lisbeth e degna figlia di Zalachenko, è carismatica, terrificante, mefistofelica. A questo punto tutto il discorso che ruota intorno al mondo degli hacker, dei savant, dello spionaggio industriale e dei servizi segreti assume finalmente le forme di un problema da risolvere. Tornano l'odio atavico di Lisbeth per il padre, i ricordi di un'infanzia difficile, i collegamenti fra economia e politica; torna insomma lo scenario cupo e distorto a cui Larsson ci aveva abituati. A questo punto la lettura diventa frenetica, serrata e da qui in poi non ci si stacca più. Da qui in poi si percepisce la sensazione di qualcosa di nuovo e al contempo antico. Da qui in poi si può dire: bravo, Lagercrantz!
Pur con qualche riserva a mio avviso l'autore svedese è dunque riuscito nella titanica impresa. Ha creato una nuova opera ripartendo "da dove eravamo rimasti", o meglio: in attesa del nuovo Millennium 5 L'uomo che inseguiva la sua ombra in uscita il 7 settembre, possiamo dire che ha creato un nuovo primo capitolo di una nuova saga con una identità ben precisa e intrigante a sufficienza da farsi leggere con entusiasmo, collegandolo con diversi e massicci rimandi alla precedente e grandiosa trilogia.
Quello che non uccide, esattamente come Uomini che odiano le donne e La ragazza che giocava col fuoco, lascia in sospeso vari punti che andranno sviluppati nei successivi libri. Pian piano vedremo Lagercrantz e i suoi nuovi personaggi interagire e prendere il posto dei vecchi; ci appassioneremo al suo stile, al suo modo di descrivere questo nuovo mondo e col tempo supereremo lo shock della dipartita di Larsson fino a che, un giorno, ci ritroveremo a leggere Millennium 6 o 7 e diremo: "Lagercrantz ha fatto un ottimo lavoro".
Sempre ovviamente tenendo a mente che un giorno del 2005, nelle librerie di tutta Italia, fece la sua apparizione un libro magnifico chiamato Uomini che odiano le donne.

David Valentini