Gli dèi di Mr. Tasker
di Theodore F. Powys
di Theodore F. Powys
Adelphi (1977, 2017)
Traduzione di Adriana Motti
pp. 277
12 €
Ci sono scrittori la cui ironia è in grado di farti sorridere e arrabbiare allo stesso tempo. Che sanno carpire dinamiche di interi tipi umani in qualche riga. Che arrivano a disgustare il lettore nel loro ritrarre con tanta veridicità il perverso animo e che possono, al contempo, misurarne la grandezza con la genuinità degli occhi di un bambino. Theodore Francis Powys è certo uno di questi.
Theodore Francis (1875 -1953) era il più giovane dei fratelli inglesi Powys, tutti scrittori e saggisti come lui. Gli dèi di Mr. Tasker fu pubblicato nel 1924 e narra le vicende di un piccolo villaggio rurale, tra fattorie e allevatori. A ben guardare però il quadretto non è così idilliaco.
La pace e la serenità del villaggio apparivano evidenti a prima vista. Nessuno era costretto a sgobbare, nessuno era veramente povero. C’erano abbastanza donne per smussare i desideri maschili e abbastanza birra per affilare nel senso sbagliato la naturale ottusità contadinesca. (p. 25)
C’è un tetro serpeggiare di maligno che sottende tutto ciò che riguarda gli affari umani: Dio è morto e gli abitanti si inginocchiano dinnanzi a nuovi idoli.
Mr. Tasker adorava i maiali, e i campi intorno alla sua casa brulicavano sempre di queste turbe di dèi grassi e magri. Ammazzava i suoi dèi lui stesso, e li avrebbe crocifissi con grande fervore se questo gli fosse servito a dissanguarli meglio e a farseli pagare di più. (p. 16)
Dietro alle cortine ipocrite dei benpensanti, Powys fa emergere con ironia tutta la meschinità dell’animo umano. Maldicenze, tradimenti, storie di quotidiana violenza: c’è un sottosuolo dostoevskijano di cupa malvagità pronto ad affogare i personaggi. Nel contesto di una vita rurale vicino a uno stato di natura, gli abitanti del villaggio sono in realtà imbrigliati in una vita misera di convenzioni e ipocrisia. I pochi personaggi buoni sono vittime di una folla spietata pronta a giudicare e a denigrare.
Nella stanza c’era Mr. Neville […]. La sua barba e i suoi capelli erano grigi, e il suo cuore, si fosse potuto vederlo, era ancora più grigio; e non c’era da stupirsene, perché egli aveva scoperto che cosa fosse la crudeltà umana. (p. 38)
Un regno come il nostro, pieno di tuttologi pronti a puntare il dito e a odiare coloro che non sanno odiare quanto dovrebbero. E i pochi disallineati al contesto non sanno come passare inosservati.
Henry […] sapeva bene che i cani ringhiosi dell’opinione pubblica non esitano a protendere le loro fauci immonde per azzannare chiunque li abbia offesi. Disgraziatamente, lei ed Henry erano proprio il genere di persone che offendono la gente. (p. 186).
Del resto, chi non sa amalgamarsi e non perde tempo a difendersi offende il comune contegno ed è preda di ogni maldicenza. È più facile giudicare colui che sceglie di togliersi la vita, pronti a negargli cristiana sepoltura, piuttosto che affrontare la sofferenza che l’ha portato a tale gesto. Il reverendo stroncato da un infarto mentre si intratteneva con una ragazzina invece merita tutta la magnificenza che il suo status economico gli può comperare.
Nel leggere il resoconto della morte del loro vicario sul settimanale che arrivava tutti i giovedì da Maidenbridge, gli abitanti di Shelton sentirono che il loro pastore era morto in modo degnissimo, proprio mentre stava facendo, come sempre aveva fatto tra loro, una buona azione. […] Se un barlume della verità si affacciò alla loro mente, gli abitanti del villaggio lo respinsero senza esitazioni. (p. 180-181)
Le eccezioni sono mal tollerate e socialmente emarginate, prìncipi idioti destinati a un inevitabile martirio. Poche singolarità di un universo denarocentrico che diventano vittime sacrificali, attimi di catarsi in una società di crudele ignoranza. Sono pochi e tormentati, semplici animi o colti personaggi che hanno la capacità di vedere al di là della cieca arroganza. Vedono oltre e la loro essenza è libera.
Henry ormai li conosceva, vedeva tutto chiaro, adesso. Vedeva che erano governati e sopraffatti per tutta la vita dalla brama del possesso, dall’eterna smania di possedere, mai di essere. […] Henry sapeva che i loro soffocanti tuguri erano là nella tenebra, legati, incatenati alla terra, scavati nella terra, e sapeva a che punto quella gente fosse pronta a gettare sterco su ogni fulgida scintilla di luce che dal cielo cadesse tra loro. (p. 202)
Il male quotidiano che infliggiamo nel rincorrere un effimero benessere, quel qualcosina in più rispetto al nostro prossimo che tanto gonfia il nostro ego e il nostro orgoglio, quanto costa a chi ci sta vicino?
Manuela Cortesi